NT/ Ottobre 17, 2020/ Raccolte

 GIACOBBE 


L’uomo dalla religiosità matura DAL LIBRO DELLA GENESI (CAP. 28) Il sogno di Giacobbe 5 Così Isacco fece  partire  Giacobbe,  che andò in Paddan_Aram presso Làbano, figlio di  Betuèl, l’Arameo, fratello di Rebecca, madre  di Giacobbe  e  di Esaù. […] 10 Giacobbe  partì da  Bersabea e si diresse verso Carran. 11Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era  tramontato; prese una pietra, se la pose  come guanciale e si coricò in quel luogo. 12 Fece un sogno:  una scala poggiava sulla  terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio  salivano e  scendevano su di essa. 13 Ecco il Signore gli stava davanti e disse: «Io sono il Signore, il  Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco. La terra sulla quale tu sei coricato la darò a te e alla tua  discendenza. 14La tua discendenza sarà come la  polvere della terra e ti estenderai a occidente e ad  oriente, a settentrione e a  mezzogiorno. E saranno benedette per te e per la tua discendenza tutte le  nazioni della terra. 15Ecco io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in  questo  paese,  perché  non ti abbandonerò senza  aver  fatto  tutto quello che  t’ho detto». 16 Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse:  «Certo, il Signore è  in questo luogo e io non lo sapevo». 17 Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile  questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la  porta  del cielo». 18 Alla mattina  presto Giacobbe si alzò, prese  la  pietra  che si era  posta  come  guanciale, la  eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. 19E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz.  20Giacobbe fece questo voto: «Se  Dio sarà con me  e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane  da mangiare e vesti per coprirmi, 21se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. 22Questa pietra, che io  ho eretta come stele, sarà una  casa di Dio; di quanto mi darai io ti offrirò la decima». (CAP. 30) La lotta con Dio 25 Dopo che Rachele ebbe partorito Giuseppe, Giacobbe disse a Làbano:  «Lasciami andare e  tornare a casa mia, nel mio paese.  26 Dammi le mogli, per le  quali ti ho servito, e i miei bambini  perché possa partire: tu conosci il servizio che ti ho prestato» … (CAP. 32) 23 Durante quella notte  egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici figli e passò il guado dello Iabbok. 24 Li  prese, fece loro passare il torrente e  fece passare anche tutti i suoi averi. 25Giacobbe rimase solo e  un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. 26 Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì  all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a  lottare  con lui. 27 Quegli disse:  «Lasciami andare, perché  è  spuntata l’aurora». Giacobbe rispose:  «Non ti lascerò, se  non mi avrai benedetto!». 28Gli domandò:  «Come  ti chiami?». Rispose:  «Giacobbe». 29 Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio  e con gli uomini e  hai vinto!». 30 Giacobbe allora gli chiese: «Dimmi il tuo nome». Gli rispose:  «Perché  mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. 31 Allora  Giacobbe  chiamò quel luogo Penuel  «Perché ­ disse ­ ho visto Dio faccia a faccia, eppure  la mia  vita è rimasta salva». 32 Spuntava il  sole, quando Giacobbe passò Penuel e  zoppicava all’anca. 33 Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l’articolazione del femore, perché quegli aveva colpito  l’articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico. GIACOBBE È uno dei Patriarchi, la cui memoria intenerisce Dio: quando Israele geme schiavo in  Egitto, il Signore porge l’orecchio ai suoi gemiti perché “si ricorda della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe” (Es 2,23ss). È colui cui il misterioso personaggio divino della  lotta  al guado  dello Yabbok cambierà il nome in Israele,  “colui  che lotta con Dio” o “colui con cui Dio lotta”, dando così per sempre  nome  al popolo eletto. Thomas Mann gli dedica  il romanzo Le storie  di  Giacobbe, che  introduce la  trilogia  dedicata  al figlio di Giacobbe, Giuseppe, e  ne  presenta  la  vicenda in modo così vivo, che il libro, uscito nel 1933, ha uno straordinario successo e suscita le  ire  del censore  del Reich:  questi, reputando inaccettabile che  “l’emigrante  Thomas Mann possa  diffondere in Germania un libro pieno di storie ebraiche”, aggiunge: “Non è comprensibile come sia  potuto sfuggire  all’Ufficio del Reich. Io l’ho letto e  lo trovo, contenutisticamente, assurdo… Un  libro da bloccare con ogni mezzo”.  Di Giacobbe il grande Goethe osserva come nel carattere e nei modi sia “il vero e degno  capostipite del popolo di Israele”: in positivo cita il suo amore costante e incorruttibile per Rachele, e  la sua  capacità  straordinaria  di trarre  vantaggio da  ogni situazione. “Come  con una  cattiva  pietanza si è  conquistato la  primogenitura,  e  con un travestimento la  benedizione  paterna, così  riesce con arte e simpatia ad appropriarsi della parte maggiore del gregge” di Labano, suo suocero. Un uomo positivo, si direbbe, perfino simpatico nella sua capacità di profittare di tutto. Qualche  altro, meno benevolmente,  sottolinea più  che  l’astuzia  l’inganno e  l’insieme  di  mezzucci cui il Patriarca ricorre: Giacobbe non sarebbe che un imbroglione di talento. Quale che sia  il giudizio morale,  la figura  di Giacobbe ­ Israele  unisce  questi tratti di grande  e  contraddittoria  umanità  ­ tenerezza  e  passione,  paura  e  compromesso, calcolo e  sotterfugio  ­ a  una  profonda esperienza di fede in Dio. È forse questa mescolanza di aspetti, perfino questa ambiguità, che ce lo  rende  così vicino, così moderno e  ne fa  il tipo di ogni uomo che  accetti di lottare  con Dio e  di  lasciare infine che Egli vinca…

Già  nel nome  Giacobbe  porta  con sé  la sua  ambiguità:  un’etimologia  lo collega al verbo  ‘aqab =  ingannare; un’altra  alla  parola ‘aqeb =  calcagno, in riferimento  alla  parte  anatomica del  gemello Esaù  che  il nascente  Giacobbe  avrebbe  tenuto in mano, evidentemente  cercando di  trattenerlo; l’etimologia  più  pia  ed  edificante  vi vede l’abbreviazione  di ya’aqob­’el =  Dio  custodisca o protegga. Il nome Israele, datogli dall’Angelo, è verosimilmente collegato al verbo srh  = combattere, o alla stessa radice col significato “Dio è forte”. Comunque  stiano  le  cose, la  vita  di Giacobbe  corrisponde  ai sensi che  i suoi nomi rivelano:  un’esistenza movimentata, ricca di umiliazioni e di soddisfazioni, segnata  da  grandi prove (non  ultima quella della scomparsa dell’amatissimo figlio Giuseppe…) e da grandi benedizioni (come il  ritrovamento di Giuseppe in  Egitto). Un’esistenza  il cui filo rosso resta  però il rapporto con  l’Assoluto:  così la  dipinge  Thomas Mann:  “La sua  inclinazione  per  il sublime  nei gesti e  nelle  parole si era spesso trovata a mal partito per la mite timorosità della sua anima.  C’erano state  per  Giacobbe  ore  di umiliazione, di fuga, di pallida  angoscia, situazioni in  cui, sebbene fatte proprio per mostrar più palese la grazia, Giuseppe mal volentieri si rappresentava il  padre” (Le storie di Giacobbe, Mondadori, Milano 1990, 73). Per quanto avventurosa, e vissuta in  luoghi diversi a  migliaia  di chilometri l’uno dall’altro, la sua  vita  è scandita  da  alcuni momenti  fondamentali:  la rivalità  con il fratello Esaù; il viaggio verso Carran con il sogno della scala; il  ritorno da Carran con il passaggio al guado dello Yabbok; la morte in Egitto.  1. La preistoria del sogno: la vita di Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo, è segnata  in maniera determinante dalla rivalità con suo fratello Esaù, connessa a un motivo che  per  la  fede ebraica è  essenziale:  la  benedizione  divina, concessa  attraverso la  benedizione paterna. Essere benedetti vuol dire entrare nel piano provvidenziale di Dio  sulla storia, lasciarsi far  prigionieri dall’invisibile  e  lasciarsi condurre  dall’Eterno  attraverso vicende che per quanto difficili o dolorose si riveleranno alla fine strumento  per un bene e una grazia più grandi. La  benedizione è  vocazione,  chiamata che Dio riserva per  ciascuno e alla quale urge dare  una risposta. Sebbene giochino motivi umani in tutto questo, come la preferenza della madre  Rebecca per il tenero Giacobbe rispetto al rozzo Esaù, è in realtà Esaù stesso a far pendere la  bilancia dalla parte del fratello, disprezzando il dono che gli sarebbe appartenuto in quanto  primo nato e cedendolo niente di meno che per un piatto di lenticchie! È questa mancanza di  rispetto per il dono divino, è questa mancanza di fede di Esaù che decide la questione. Ciò che seguirà, la recita orchestrata da Rebecca e ben eseguita dal figlio prediletto rivestito  delle  pelli che  lo facevano assomigliare  al peloso fratello, non è  che  una  conseguenza  di  questa  incredulità  di Esaù.  Anche se Giacobbe non  perde  tempo e  immediatamente  ne  approfitta, i suoi espedienti sono poca cosa rispetto al disprezzo del fratello per i beni divini:  Giacobbe fa di tutto per prendersi quello in cui crede, la benedizione; Esaù non se ne cura e  la  perde. A suo modo, l’astuzia  di Giacobbe  e  la  trascuratezza del fratello fanno capire  quanto sia importante avere a cuore l’Eterno e custodire i suoi doni!  2. Il sogno di Giacobbe: è in questo contesto di rivalità che nasce il viaggio verso Carran. Esaù  è  furioso per  quanto è  avvenuto e  intende vendicarsi;  Rebecca lo comprende e  accetta  di vivere il sacrificio più grande,  quello di separarsi dal figlio amato, perché  questi viva. Giacobbe fugge verso la terra  e  la famiglia  della madre. È per  lui un’ora  drammatica di distacco da tutto quello che fino allora era stato il suo mondo: la famiglia  e le amicizie, la terra e il lavoro, persino il suo Dio, perché lui, il benedetto, parte privo di tutto! Non rimpiange la scelta fatta e la fede nel Signore, ma  ne assapora il prezzo:  Thomas Mann gli mette in cuore questi pensieri: “Perché Dio, il Re, aveva così disposto?  Perché lo puniva con tanta pena e tante tribolazioni?  Che  si trattasse  di una  punizione,  di un compenso, di una  soddisfazione  per  Esaù  gli  appariva chiaro. E durante quel suo viaggio pieno di fatiche e di stenti egli rifletteva sulla  natura del Signore che senza dubbio aveva voluto e favorito quanto era successo ma ora lo angustiava e gli faceva scontare le amare lacrime di Esaù, sebbene solo per motivi, diciamo  così, di decoro e di ordine, in una proporzione benevolmente imprecisa” (195s). Credere in  Dio e nella Sua chiamata è necessario, ma come ogni scelta di amore esige un prezzo. È a  questo  punto che  l’Eterno interviene:  il sogno della scala fra  il cielo e  la terra

  dice a  Giacobbe  che  Dio non si è  dimenticato di lui, che  anzi gli è  accanto, fedele  alle  sue  promesse. Dio si interessa di noi! Basta solo continuare a fidarsi di Lui, anche senza vedere. Giacobbe comprende il messaggio, che lo riempie di dolcezza e di forza: decide di lasciare  un segno visibile di quella notte singolare, per non dimenticarsene mai più. Innalza una stele  ­ memoriale che tenga  viva  la memoria ­ , la  unge  di olio, promette  a Dio la  decima  in  segno di totale sottomissione. Quel luogo, Luz, da ora in poi sarà Bet­el, la casa di Dio. Giacobbe ha messo ordine nel suo cuore in tumulto e vuole che un dato sensibile ricordi a  lui e  ai suoi posteri l’alleanza con l’Eterno, perché  questo ricordo li rafforzi nelle ore  di  prova  o di dubbio. Alla  domanda  che tutti ci poniamo nei momenti di incertezza ­ “dove  sono?”  ­ Giacobbe  ora  può rispondere  da  uomo di  fede:  “io non lo so, ma  so che Tu, Signore, lo sai, e questo mi basta”. Nel promettergli la  terra,  la  discendenza e  la missione  universale, Dio gli conferma  la  promessa dell’alleanza: “Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò  ritornare in questo paese, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che t’ho  detto” (v. 15). Giacobbe pone così delle domande alla nostra fede: Ho il senso di Dio nella mia vita? Credo  che Lui si interessa di me? So riconoscere la Sua presenza provvidente e fedele anche nell’ora della prova? Mi fido di Lui? Lo ascolto? Mi ricordo di Lui e della Sua fedeltà anche nel tempo del Suo  silenzio? O ­ come Esaù ­ non mi curo della Sua chiamata, del Suo disegno di amore su di me?  3. In  partenza verso  il  futuro. Giunto nella patria  di Rebecca  Giacobbe  fa  fortuna:  innamorato di Rachele, figlia di Labano, per sposarla lavora sodo per sette anni, più altri  sette, perché Labano gli dà dapprima la figlia maggiore, Lia, e poi solo dopo altri sette  anni l’amata Rachele. La ricchezza che accumula suscita gelosie: è così che Giacobbe  decide di tornare alla terra di suo padre Isacco. È un nuovo momento drammatico della  sua vita: sa che Esaù gli sta venendo incontro e ha paura. Divide i suoi beni in due parti, per  assicurare la sopravvivenza di almeno una delle due  e  manda doni al fratello. Nel contesto di questo ritorno da Carran, mentre si sente minacciato, Giacobbe vive una nuova, forte esperienza di Dio: il passaggio del guado dello Yabbok. È il  vero passaggio verso il futuro, la porta del domani. L’assalitore notturno lo raggiunge quando è ormai rimasto solo e deve attraversare il guado:  è un personaggio misterioso, divino, perché poi lo benedirà e gli conferirà il nome del suo  destino, Israele. La lotta è senza risparmio e Giacobbe ne porterà il segno per il resto della  vita  nel femore  colpito:  quando ormai è avanti negli anni e ha  conosciuto benedizione  e  consolazione, Giacobbe viene richiamato alla sua condizione di povero ed errante davanti a  Dio. Con Dio  non si finisce mai di lottare:  il credente  è  un ateo che  ogni giorno si sforza di  cominciare  a  credere. Ma  è  in questa  lotta che la  fede mostra  l’amore  al suo Signore:  “agàpe” ­ “agòn”, amore è lotta. E la lotta avviene di notte, non nella chiara luce del giorno  in cui è facile orientarsi, ma nell’oscurità dove tutti i riferimenti sembrano smarriti, e solo  l’Altro resta  davanti a  te.  Dio chiede di non sottrarci a  questa  lotta, di viverla  e  così di  lasciare  che  egli vinca, che  la Sua  benedizione ­ stupenda  ed  esigente ­ ci raggiunga  e  ci  cambi. Giacobbe non si sottrae e nella lotta diviene il padre dei credenti, l’Israele che lotta  con Dio sapendo che Dio è forte e che Lui dovrà vincere. Sono  disposto  a lottare  con  Dio  e  a lasciare  che  Lui  vinca? Fuggo  da Lui  o  accetto  di  entrare con Lui nel guado dello Yabbok della mia fede umile e povera, per uscirne cambiato  per sempre? Accetto di porre il mio futuro totalmente nelle mani del mio Dio? Molti altri eventi segneranno ancora  la  vita  del patriarca  Giacobbe. Essi si ricollegano in  gran parte  alla  storia  di suo figlio Giuseppe, “il sognatore”, e dei suoi fratelli. Dopo molte  consolazioni e molte sofferenze Giacobbe conoscerà la morte in Egitto, confortato dall’aver visto  realizzarsi in  maniera  imprevedibile  la  benedizione  del Signore.  Fino all’ultimo si appoggia  alla  fede nel suo Dio, figurata dal bastone cui si aggrappa nel dare l’ultimo respiro: “Per fede ­ dice la  lettera agli Ebrei (11,21) ­ Giacobbe, morente, benedisse ciascuno dei figli di Giuseppe e si prostrò, appoggiandosi all’estremità  del bastone”.



È l’ultimo guado da  attraversare:  e Israele  lo affronta  affidandosi a Dio. Qualcuno in quel bastone ha visto il segno della Croce, la porta degli umili dove  il guado fra il tempo e l’eterno è stato attraversato una volta per sempre dal Figlio di Dio perché  ognuno di noi possa attraversarlo a suo tempo…


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