Noi non sappiamo guardare alla morte con lo sguardo di Gesù, perché riponiamo tutto nella vita. Eppure è solo attraverso la morte che noi raggiungiamo la vera pienezza di vita, che noi completeremo con la nostra partecipazione alla Redenzione. Gesù parlando di sé dice: «Se il granello di senape che è caduto a terra non muore, rimane solo: ma se muore produce molto frutto» (Gv 12,24); «E io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutti a me» (Gv 12,32). Prima Lettura
Dio aveva prodigiosamente dissetato il popolo che seguiva Mosè nel deserto. <!-more-> Dio fatto uomo chiede da bere ad una donna samaritana che stava attingendo acqua ad un pozzo. Le parti si sono invertite: Colui che può far scaturire l’acqua nel deserto, Colui che può dissetare anche l’anima, chiede da bere. Egli, in verità, ha sete di dissetarci. E noi possiamo dissetarlo aprendo l’anima alla sua grazia divina perché la nostra anima inquieta, e in continuo cammino ha un desiderio incessante
Il digiuno e la preghiera <!-more-> sono l’espressione «incarnata» del riconoscimento della nostra dipendenza da Dio, della fiducia esclusiva che in Lui riponiamo, nonché l’affermazione della nostra libertà nei confronti del “mondo” e dei potenti che pretendono di imporsi con la forza bruta. LITURGIA DELLA PAROLA Prima Lettura (Gn 12,1-4a) La vocazione di Abramo, e la sua obbedienza alla voce divina, che lo chiama da tutte le certezze presenti verso un futuro grande, ma incerto e paradossale, è l’inizio della storia
Dio ha dato all’uomo la libertà. <!-more-> Gli ha però mostrato la via della felicità che è nell’aderire a lui. Ma l’uomo vuole emanciparsi e si allontana da Dio. Ed ecco che il potere, la ricchezza, il piacere, lo possono avvolgere, quando ricercati per sé-stessi, nelle loro false luci fino a renderlo schiavo delle sue passioni. Allora nel cuore non resta che il rimpianto di una libertà perduta. Lontano da Dio l’uomo infatti perde la sua vera fisionomia che è la
Già fin dall’Antico Testamento veniva fortemente inculcato l’amore verso il prossimo (Cf. Lv 19,18). <!-more-> La perfezione di questo precetto si ha nel Nuovo Testamento. Sulle labbra di Gesù l’amore del prossimo diventa qualcosa di nuovo: (cf. il racconto del buon samaritano, Lc 10, 25-37). Per Gesù «prossimo» è ogni uomo, tutti gli uomini, senza distinzioni di razza o di religione bisognosi di aiuto. LITURGIA DELLA PAROLA Prima Lettura (Lv 19,1-2.17-18) Israele, scelto da Dio come popolo eletto è chiamato a
Il cristiano è un testimone di Cristo: «Voi sarete miei testimoni». <!-more-> Egli deve continuare la testimonianza del Cristo nella quotidianità della propria giornata, monotona e ripetitiva e sempre uguale che sia, ma solo apparentemente, o varia e multiforme, differente e divertente che sia, condividendo la vita dei propri simili, dividendo il pane con l’affamato, introducendo in casa i miseri ossia cercando di farsi dono a tutti direbbe l’apostolo. Prima Lettura L’essenza della vera religione sta nella carità e nella giustizia.
L’esperienza di Dio, della sua salvezza è possibile soltanto a chi si presenta davanti a Lui nello stato di indigenza. <!-more-> È sul «povero», sul contrito ed umiliato di cuore che Egli posa i suoi occhi. Quanti sono privi di gioia, di serenità, il Cristo li invita a cercare l’origine di tanta insoddisfazione e smarrimento, che forse sta nel ricercare il benessere per il benessere. LITURGIA DELLA PAROLA Prima Lettura Sofonia ci dà il ritratto più completo del «povero» secondo la
1, 5-6. ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL TEMA DELL’EPEKTASIS Paola Marone