Nessun Cesare sulla terra può appropriarsi della persona umana, nessun governatore terreno può prendere il posto di Dio perché l’uomo e la donna che portano la Sua immagine e somiglianza gli appartengono e solo Dio può chiedere il dono totale della persona così come solo a Dio si deve dare tutta la nostra persona. I cristiani però non possono restare ai margini della vita sociale o disinteressarsene, è vero, ma come conciliare la città terrena con quella celeste? Come mettere insieme fede e polis-politica? Ecco una questione quanto mai difficile e delicata sul piano pratico. Ecco la risposta di Gesù più attuale che mai, che tutti conoscono e che spesso viene estrapolata dal suo contesto originario per servirsene a proprio piacimento, quando si sceglie di stare dalla parte del potere umano piuttosto che dalla parte di Dio: «Date -rendete- a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura
L’azione politica del re Ciro, vincitore dei popoli del medio-oriente, serve al piano di Dio. per la prima volta nella storia del popolo eletto, Dio si rivolge a un re straniero consacrandolo. La sua elezione da parte di Dio viene riferita a Israele. Due elementi fondamentali vengono posti in evidenza: l’azione di Dio nell’elezione e nell’adozione è un atto di pura gratuità. E questo sia riguardo a Ciro come a Israele; Il Dio d’Israele diventa il Dio universale, perché tutti i popoli devono riconoscerlo come l’unico vero Dio e convertirsi.
Dal libro del profeta Isaìa (Is 45,1.4-6)
Dice il Signore del suo eletto, di Ciro:
«Io l’ho preso per la destra,
per abbattere davanti a lui le nazioni,
per sciogliere le cinture ai fianchi dei re,
per aprire davanti a lui i battenti delle porte
e nessun portone rimarrà chiuso.
Per amore di Giacobbe, mio servo,
e d’Israele, mio eletto,
io ti ho chiamato per nome,
ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca.
Io sono il Signore e non c’è alcun altro,
fuori di me non c’è dio;
ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci,
perché sappiano dall’oriente e dall’occidente
che non c’è nulla fuori di me.
Io sono il Signore, non ce n’è altri».
Salmo Responsoriale Dal Sal 95 (96)
R. Grande è il Signore e degno di ogni lode.
Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, uomini di tutta la terra.
In mezzo alle genti narrate la sua gloria,
a tutti i popoli dite le sue meraviglie. R.
Grande è il Signore e degno di ogni lode,
terribile sopra tutti gli dèi.
Tutti gli dèi dei popoli sono un nulla,
il Signore invece ha fatto i cieli. R.
Date al Signore, o famiglie dei popoli,
date al Signore gloria e potenza,
date al Signore la gloria del suo nome.
Portate offerte ed entrate nei suoi atri. R.
Prostratevi al Signore nel suo atrio santo.
Tremi davanti a lui tutta la terra.
Dite tra le genti: «Il Signore regna!».
Egli giudica i popoli con rettitudine. R.
Seconda Lettura
Verso l’anno 50 Paolo invia questo suo scritto, uno dei primi secondo gli studiosi, ai cristiani di Tessalonica che aveva evangelizzato. Rende grazie a Dio della loro corrispondenza all’elezione divina mediante il dinamismo della fede, della speranza, e della carità, forti della sicurezza comunicata loro dallo Spirito Santo. Per conseguenza, ogni battezzato dovrebbe saper rispondere alla chiamata di Dio, con l’esercizio delle tre virtù teologali: fede, speranza, carità.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési (1Ts 1,1-5b)
Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace.
Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro.
Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.
Risplendete come astri nel mondo,
tenendo salda la parola di vita. (Fil 2,15d.16a)
Alleluia.
VANGELO
La questione del tributo richiesto dai romani aveva una portata non soltanto politica e religiosa, ma anzitutto di sottomissione alla dominazione straniera fino alla venuta del Messia, il quale avrebbe poi scacciato i dominatori e ridonato la libertà a Israele. Con la domanda sul pagamento del tributo gli avversari sperano indurlo a sconfessare la sua messianicità. La risposta di Gesù diventa comprensibile se in primo luogo richiamiamo alla mente le altre sue parole: «Il mio Regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Egli mette in risalto i -diritti- di Dio, senza toccare quelli dell’imperatore. Sono diritti diversi: lo Stato può esigere dall’uomo denaro e servizio, ma Dio solo può chiedere il dono totale della persona che appartiene a Dio, da Lui creata, e nessun Cesare sulla terra può appropriarsene: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Anche Cesare è di Dio e non potrà sottrarsi dalla Sua giustizia, soprattutto quando usata a Nome di Dio perché nessun governatore può prendere il posto di Dio.
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 22,15-21)
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
ORIENTAMENTI PER LA PREGHIERA
I farisei tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo
I sacerdoti dell’antica alleanza erano incapaci di intimidire il Signore, quando gli chiedevano: Con quale autorità fai questo? (Mt 21, 23 ). E dopo che la forza delle sue parabole li aveva frustrati ulteriormente, condannarono se stessi dicendo: Farà morire miseramente quei malvagi (Mt 21, 41). Dal momento che nessuno portava testimonianza contro di loro, doveva essere solo la loro coscienza che faceva loro dire questo. Ma certamente il timore del peccato non pungeva la loro coscienza, né il pensiero di essere liberi dal peccato li frenava. Che fecero allora? Uscirono e tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nelle sue parole. Se uno prova a bloccare il flusso di un corso d’acqua erigendo una specie di barriera, l’acqua strariperà e creerà un nuovo percorso in un’altra direzione. Allo stesso modo le cattive intenzioni frustrate dei sacerdoti trovarono nuove vie per esprimersi.
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 42)
Mandarono a lui i propri discepoli
Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani*. […] I farisei non volevano interrogare Cristo per mezzo degli erodiani. Ma entrambi avevano un comune nemico, Cristo. Entrambi questi gruppi tenevano Cristo in gran sospetto. Ma ciascuno di essi, essendo essi stessi sospetti, temeva di non essere in grado di procedere con successo contro Cristo. Un nemico che sta allo scoperto è molto meglio di uno che resta nascosto alla vista. Infatti mentre il primo può essere temuto, ma si può affrontare facilmente, il secondo siccome è sconosciuto, potrebbe prevalere. Pertanto mandarono a lui anche i loro discepoli poiché erano ancora meno conosciuti e meno sospetti (degli
erodiani), in modo che potessero ingannarlo più facilmente e in modo più fraudolento, oppure se fossero stati scoperti, potessero trovarsi meno in imbarazzo. *L’anonimo autore dell’Opus in Matthaeum definisce gli erodiani (cioè i sostenitori di re Erode) pagani. In realtà si tratta di giudei ellenizzanti, che seguivano lo stile del sovrano, discendente da un stirpe originaria dell’Idumea.
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 42)
Maestro, sappiamo che sei veritiero
Lo chiamarono maestro, ed egli lo era veramente. Tuttavia fingevano solo che egli fosse un maestro onorato e degno di lode. Fingevano che egli avrebbe semplicemente aperto loro il ministero del suo cuore, come se volessero essere suoi veri discepoli. Questa è la prima caratteristica degli ipocriti: simulare la lode. Essi lodano colui che vogliono distruggere.
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 42)
Insegni la via di Dio secondo verità
Osservate dunque cosa sia la passione dell’ipocrisia, come essa abbia celato tutta l’ostilità e i pensieri omicidi dei giudei dietro lo spregevole velo dell’adulazione, e come coloro che odiano, alla fine involontariamente onorino (Gesù), mentre tentano di causarne la morte. In verità coloro che dicevano: Siamo discepoli di Mosè, ma non sappiamo di dove egli sia (Gv 9, 28-29) lo chiamano «Maestro».
Coloro che lo chiamavano «ingannatore» e «seduttore» dicono: sappiamo che sei veritiero. Coloro che facevano ogni sforzo per resistergli con ignoranza ed invidia, dicendo: Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato, e: egli ha un demone (cf. Mt 12), testimoniano che egli insegna la via di Dio in tutta la sua verità.
(Severo di Antiochia, Sermoni Cattedrali, omelia 104)
Di chi è questa immagine?
Dunque (Gesù) disse: Mostratemi la moneta del tributo. E gli presentarono una moneta. Ed egli disse loro: Di chi è questa immagine e l’iscrizione? Gli risposero: di Cesare. Allora disse loro: Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. «Se la moneta è di Cesare», dice Gesù, «poiché è questo ciò che avete detto, allora è necessario darla a Cesare stesso».
«Ma allora tu ci permetti di servire un uomo e non Dio? E non è questa forse una violazione della Legge? Ma questo non significa nulla. In verità l’atto di pagare la tassa a Cesare non impedisce di servire Dio, sebbene voi vorreste credere questo».
(Severo di Antiochia, Sermoni Cattedrali, omelia 104)
L’immagine di Dio
L’immagine di Dio non è impressa sull’oro ma sul genere umano. La moneta di Cesare è oro, quella di Dio è l’umanità. Cesare è visto nella sua valuta, Dio invece è conosciuto attraverso gli esseri umani. Pertanto da’ la tua ricchezza a Cesare, ma serba per Dio l’innocenza unica della tua coscienza, dove Dio è contemplato. Infatti la mano di Cesare ha coniato un’immagine di somiglianza e vive ogni anno grazie ad un decreto rinnovabile, ma la divina mano di Dio ha mostrato la sua immagine in dieci punti.
Quali dieci punti? Cinque carnali e cinque spirituali, attraverso i quali vediamo e comprendiamo quali cose sono utili sotto l’immagine di Dio. Riflettiamo dunque l’immagine di Dio in questi modi: Non mi gonfio dell’arroganza dell’orgoglio; né cedo al rossore della collera; né soccombo alla passione dell’avarizia; né mi abbandono alle follie della crapula; né mi contamino con la doppiezza dell’ipocrisia; né inquino me stesso con la sozzura delle risse; né divento superbo con la pretenziosità della presunzione; né mi appassiono al peso dell’ubriachezza; né mi estraneo nel dissenso verso una mutua ammirazione; né corrompo altri con i . morsi della maldicenza; né divento orgoglioso nella vanità del pettegolezzo. Al contrario rifletterò l’immagine di Dio nel nutrirmi di amore; nel diventare saldo nella fede e nella speranza; nel corroborarmi con la virtù della pazienza; nell’essere sereno nell’umiltà; nell’adornarmi della castità; nell’essere sobrio nell’astensione; nell’essere felice nella tranquillità; nel prepararmi alla morte praticando l’ospitalità.
Sono queste iscrizioni che Dio imprime sulle sue monete, senza usare martello o scalpello, ma formandole con la sua suprema intenzione divina. Cesare, infatti, ha richiesto la sua immagine su ogni moneta, ma Dio ha scelto l’uomo, che egli ha creato, per riflettere la sua gloria.
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 42)
+++
Collaborazione di tutti alla vita pubblica
È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti (160).
Si ricordino perciò tutti i cittadini del diritto, che è anche dovere, di usare del proprio libero voto per la promozione del bene comune (161).
La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità.
Affinché la collaborazione di cittadini responsabili possa ottenere felici risultati nella vita politica quotidiana, si richiede un ordinamento giuridico positivo, che organizzi una opportuna ripartizione delle funzioni e degli organi del potere, insieme ad una protezione efficace dei diritti, indipendente da chiunque.
I diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi e il loro esercizio devono essere riconosciuti, rispettati e promossi non meno dei doveri ai quali ogni cittadino è tenuto. Tra questi ultimi non sarà inutile ricordare il dovere di apportare allo Stato i servizi, materiali e personali, richiesti dal bene comune.
Si guardino i governanti dall’ostacolare i gruppi familiari, sociali o culturali, i corpi o istituti intermedi, né li privino delle loro legittime ed efficaci attività, che al contrario devono volentieri e ordinatamente favorire.
Quanto ai cittadini, individualmente o in gruppo, evitino di attribuire un potere eccessivo all’autorità pubblica, né chiedano inopportunamente ad essa troppi servizi e troppi vantaggi, col rischio di diminuire così la responsabilità delle persone, delle famiglie e dei gruppi sociali.
Ai tempi nostri, la complessità dei problemi obbliga i pubblici poteri ad intervenire più frequentemente in materia sociale, economica e culturale, per determinare le condizioni più favorevoli che permettano ai cittadini e ai gruppi di perseguire più efficacemente, nella libertà, il bene completo dell’uomo. Il rapporto tra la socializzazione (162) l’autonomia e lo sviluppo della persona può essere concepito in modo differente nelle diverse regioni del mondo e in base alla evoluzione dei popoli. Ma dove l’esercizio dei diritti viene temporaneamente limitato in vista del bene comune, si ripristini al più presto possibile la libertà quando le circostanze sono cambiate. È in ogni caso inumano che l’autorità politica assuma forme totalitarie, oppure forme dittatoriali che ledano i diritti della persona o dei gruppi sociali.
I cittadini coltivino con magnanimità e lealtà l’amore verso la patria, ma senza grettezza di spirito, cioè in modo tale da prendere anche contemporaneamente in considerazione il bene di tutta la famiglia umana, di tutte le razze, popoli e nazioni, che sono unite da innumerevoli legami.
Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d’esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l’autorità e la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità. In ciò che concerne l’organizzazione delle cose terrene, devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista.
I partiti devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune; mai però è lecito anteporre il proprio interesse a tale bene.
Bisogna curare assiduamente la educazione civica e politica, oggi particolarmente necessaria, sia per l’insieme del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché tutti i cittadini possano svolgere il loro ruolo nella vita della comunità politica. Coloro che sono o possono diventare idonei per l’esercizio dell’arte politica, così difficile, ma insieme così nobile (163). Vi si preparino e si preoccupino di esercitarla senza badare al proprio interesse e a vantaggi materiali. Agiscono con integrità e saggezza contro l’ingiustizia e l’oppressione, l’assolutismo e l’intolleranza d’un solo uomo e d’un solo partito politico; si prodighino con sincerità ed equità al servizio di tutti, anzi con l’amore e la fortezza richiesti dalla vita politica.
La comunità politica e la Chiesa
È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori.
La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana.
La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L’uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna.
Quanto alla Chiesa, fondata nell’amore del Redentore, essa contribuisce ad estendere il raggio d’azione della giustizia e dell’amore all’interno di ciascuna nazione e tra le nazioni. Predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori dell’attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani, rispetta e promuove anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini.
Gli apostoli e i loro successori con i propri collaboratori, essendo inviati ad annunziare agli uomini il Cristo Salvatore del mondo, nell’esercizio del loro apostolato si appoggiano sulla potenza di Dio, che molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni. Bisogna che tutti quelli che si dedicano al ministero della parola di Dio, utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, i quali differiscono in molti punti dai mezzi propri della città terrestre.
Certo, le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.
Ma sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e in armonia col bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni.
Nella fedeltà del Vangelo e nello svolgimento della sua missione nel mondo, la Chiesa, che ha come compito di promuovere ed elevare tutto quello che di vero, buono e bello si trova nella comunità umana (164) rafforza la pace tra gli uomini a gloria di Dio (165).
(C.V. II, Gaudium et Spes, N° 75-76)
Note
(160) Cf. PIO XII, Messaggio radiof., 1° giu. 1941: AAS 33 (1941), p. 200; GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, l. c., pp. 273-274 [in parte Dz 3984-85].
(161) Cf. GIOVANNI XXIII, Lett. Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 415-418.
(162) Cf. PIO XI, Discorso Ai dirigenti della Federazione Universitaria cattolica: Discorsi di Pio XI: ed. Bertetto, Torino, vol. I, 1960, p. 743.
(163) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 13: AAS 57 (1965), p. 17 [pag. 143ss].
(164) Cf. Lc 2,14.
(165) Cf. Ef 2,16; Col 1,20-22.
(C.V. II, Gaudium et Spes, N° 75-76)