NT/ Luglio 29, 2023/ Vangelo-Domenica con i Padri, Liturgia della Parola domenicale, Orientamenti per la preghiera, Vangelo, Padri Chiesa, Commenti Bibbia, Raccolte, Preghiere, Meditazioni, Riflessioni, Studi, Sacra Scrittura, Padri, Domenica

Senza la docilità di cuore non è possibile una vera apertura verso Dio e di conseguenza verso i fratelli e la ricerca costante del bene che è Cristo in noi il quale muove per il loro stesso bene. Non è neanche possibile operare il discernimento del bene dal male perché è grazie allo Spirito Santo, luce dei cuori, che noi possiamo distinguere  la luce dalle tenebre, sapere cosa viene da Dio e cosa ci allontana da Dio, e dunque essere in grado di discernere, ossia di vedere chiaramente per scegliere il bene. Rivolgiamoci perciò al Signore con la preghiera di Salomone: «Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male».

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura

Salomone era già ricco e potente ma, come re poteva ancora estendere i suoi domini. Egli, però, preferisce chiedere a Dio un cuore docile alla volontà divina, per distinguere il bene dal male, rendere giustizia al popolo e governarlo con saggezza. Hai domandato per te la sapienza «Ti concedo un cuore saggio e intelligente».

Dal primo libro dei Re (1Re 3,5.7-12)

In quei giorni a Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone disse: «Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?».
Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te».

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale Dal Sal 118 (119)

R. Quanto amo la tua legge, Signore!

La mia parte è il Signore:
ho deciso di osservare le tue parole.
Bene per me è la legge della tua bocca,
più di mille pezzi d’oro e d’argento. R.

Il tuo amore sia la mia consolazione,
secondo la promessa fatta al tuo servo.
Venga a me la tua misericordia e io avrò vita,
perché la tua legge è la mia delizia. R.

Perciò amo i tuoi comandi,
più dell’oro, dell’oro più fino.
Per questo io considero retti tutti i tuoi precetti
e odio ogni falso sentiero. R.

Meravigliosi sono i tuoi insegnamenti:
per questo li custodisco.
La rivelazione delle tue parole illumina,
dona intelligenza ai semplici. R.

Seconda Lettura

Dio ci pensa continuamente. Eravamo ancora solo nella sua mente ed Egli già tracciava il suo piano per la nostra salvezza: San Paolo  ce lo descrive a tappe. Dio già  ci conosceva e ci destinava ad essere l’immagine del Suo Figlio per costituire il mistero della Chiesa, Corpo di Cristo. Poi ci ha chiamati e ci ha giustificati mediante la fede grazie al battesimo e se saremo fedeli ci attende la glorificazione con Lui.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,28-30)

Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Ti rendo lode, Padre,
Signore del cielo e della terra,
perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno. (Mt 11,25)

Alleluia.

VANGELO

Gesù è il tesoro nascosto per cui bisogna tutto abbandonare per acquistare con gioia la vita che egli ci dona. Gesù è la nostra perla preziosa e la rete che tutti prenderà tutti gli uomini tra le sue maglie.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,44-52)

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Parola del Signore.

ORIENTAMENTI PER LA PREGHIERA

Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo (Fil 3, 8).

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C’è un esclusivismo di Dio. Solo che questo non si esercita alla maniera di quelli umani. Dio non è una realtà creata che occupa nell’ambito dell’essere un posto da cui esclude, per la sua esistenza stessa, tutte le altre realtà create. La presenza di Dio non scaccia l’umano: essa lo penetra e lo trasforma. Ma l’umano devi lasciarsi plasmare interamente; deve lasciarsi togliere a se stesso. La presenza di Dio, nella sua esigenza esclusiva, è compatibile con tutto ciò che, nella creazione, non è affetto dal peccato. A condizione però di rinnovare tutto […] Si arriva così alla questione dell’umanesimo: Dio è reperibile senza che si rinunzi all’uomo per lui stesso? La ricchezza umana, pervasa da Dio, esclude praticamente Dio. Il meglio diventa allora il peggio. Si arriva a professare o a vivere un umanesimo esclusivo, e il godimento indefinito della ricchezza umana fa perdere l’occasione di acquistare la perla unica. Si adora l’uomo al posto di Dio. Il Regno è qualche cosa che si ottiene solamente rinunziando a tutto il resto.

(Y. de Montcheuil, Il Regno e le sue esigenze)

Preghiera

Un certo rispetto di Dio.

Un desiderio di lui.

Sottomissione a lui.

Riposo in lui.

Segreta soddisfazione di appartenere a lui.

Disposizione intima di vedere tutto in lui.

Riferire tutto a lui.

Ricevere tutto da lui.

Venerare ciò che è.

Stimare ciò che vale, per sempre e in ogni tempo, se non sensibilmente, almeno intimamente.

(Bousset, Brevi preghiere)

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Come un tesoro nascosto in un campo
Viene poi un uomo nel campo, rappresentato sia dalle Scritture sia dal Cristo, costituito da realtà apparenti e nascoste, e trova il tesoro della sapienza (infatti nell’attraversare il campo e nello scrutare la Scrittura, e nel cercare di comprendere il Cristo, trova il tesoro nascosto in lui) e dopo averlo trovato, lo nasconde, ritenendo non privo di rischio che i segreti delle Scritture o i tesori di sapienza e conoscenza che sono nel Cristo si manifestino ai primi che capitano, e dopo averlo nascosto va a fare trattative su come comprare il campo, ovvero le Scritture, per farne sua proprietà, giacché dalle cose di Dio ha ricevuto le parole di Dio, che prima erano state affidate ai giudei.
Una volta che colui che è diventato discepolo di Cristo ha comprato il campo, il regno di Dio -che secondo un’altra parabola è la vigna -viene tolto loro (ai giudei) e viene dato a una nazione che lo farà fruttificare, cioè a colui che in virtù della sua fede avrà comprato il campo in seguito alla vendita di tutti i suoi averi e alla sua rinuncia alle sostanze che aveva, cioè al male che era in lui. Questa medesima applicazione la farai pure nel caso in cui il campo con il tesoro nascosto è il Cristo: quelli che lasciarono tutto e lo seguirono, potremmo dire, in un senso diverso hanno venduto i loro averi, affinché col vendere e rinunciare ad essi e col fare, in cambio dei beni, una bella scelta grazie all’aiuto di Dio, comprassero a gran prezzo secondo il suo valore, il campo che contiene in sé il tesoro nascosto.
(Origene, Commento al Vangelo di Matteo 10, 6)
Con la parabola del tesoro nel campo, egli mostra le ricchezze della nostra speranza riposte in lui. Infatti Dio è stato trovato in un uomo, per comprare il quale devono essere vendute tutte le ricchezze di questo mondo. Così ci acquisteremo le ricchezze eterne del tesoro celeste dando un vestito, del cibo e dell’acqua a coloro che ne hanno bisogno. Ma bisogna osservare che il tesoro è stato trovato e nascosto, mentre certamente colui che lo ha trovato avrebbe potuto portarlo via in segreto nel tempo impiegato per nasconderlo. E portandoselo via avrebbe potuto evitare la necessità di comprarlo. Ma doveva essere spiegato il motivo sia del fatto, come delle parole. Un tesoro è stato nascosto, perché doveva essere comprato anche il campo. Col tesoro nel campo, infatti, come abbiamo già detto, si intende il Cristo incarnato che viene trovato gratuitamente. L’insegnamento dei Vangeli è di per sé completo. Ma non può esserci altro modo di utilizzare e di possedere questo tesoro con il campo se non pagando, poiché non si possiedono le ricchezze celesti senza sacrificare il mondo.
(S.Ilario di Poiriers, Commentario a Matteo 13, 7)
In questa vicenda occorre notare che il tesoro trovato viene nascosto per essere custodito, e ciò significa che chi non lo tiene lontano dalle lodi umane non difende a sufficienza l’impegno nel desiderare le cose celesti. Nella vita presente noi siamo come su una via, incamminati verso la patria. Gli spiriti maligni insidiano però il nostro viaggio – come dei ladri – , e chi, compiendolo, mostra a tutti il suo tesoro è come se volesse venir depredato. Dico questo, non perché il prossimo resti impedito di vedere le nostre opere buone, dato che sta scritto: Vedano le nostre opere buone e diano gloria al Padre vostro che è nei cieli, ma perché non ci capiti di cercare lodi umane per il bene che facciamo. Le opere che compiamo in pubblico siano tali da non togliere dal riserbo le relative intenzioni, così da offrire al prossimo I’esempio di azioni oneste, col desiderio però che ne rimanga il segreto, dato che la nostra intenzione è di piacere solo a Dio. Il tesoro raffigura infatti il cielo che desideriamo; il campo, nel quale è nascosto il tesoro, l’impegno di tendere a quella meta. Acquista in verità quel campo – dopo aver venduto tutto – chi, rinunciando alla voluttà della terra, reprime ogni desiderio terreno nell’impegno ascetico per la patria celeste, in modo da non gustare più ciò che la carne blandisce né che lo spirito provi ripulsa per ciò che danneggia la vita terrena.
(S.Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli 11, 1)


Una perla di grande valore
Poiché molti di coloro che sono del tutto estranei alla religione repentinamente grazie alla grazia divina hanno conosciuto la grandezza di Cristo in modo da disprezzare tutti i loro antichi beni e vedere che essa soltanto può procurare verità e salvezza, (Gesù) dice questo (cioè del tesoro) 1. Aggiunge ancora che molti uomini, ben istruiti nella religione, riconosciuta la grandezza del messaggio, respingeranno le cose antiche, come Paolo che, pure mostrando molto zelo nei riguardi della Legge, dopo che conobbe la grandezza del Vangelo, abbandonò tutto ciò che riguardava la Legge, dicendo di sé: Quello che poteva essere per me un guadagno, io l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo (Fil 3, 7); e ancora: Anzi; ho patito ogni danno e lo ritengo sterco, per guadagnare Cristo (Fil 3, 8). Le prime parole egli sembra riferirle a quelli dei greci che si distinguevano per la pietà, queste ultime ai giudei. Per questo li ha chiamati mercanti, come quelli dei quali si dice che grazie all’apprendimento della Legge sono zelanti nella pietà.
(Teodoro di Mopsuestia, Frammento 75)
Devi andare alla ricerca di queste perle nelle parole di ogni genere, che annunciano la verità e producono perle; le conchiglie che concepiscono – per così dire – dalla rugiada celeste e sono gravide della parola di verità che viene dal cielo devono essere i profeti: queste le buone perle, alla cui ricerca va il mercante, secondo l’espressione riferita precedentemente. Ora la capobranco delle perle, trovata la quale si trovano anche le altre, la perla di gran valore è il Cristo di Dio, la Parola al di sopra dei preziosi testi e pensieri della Legge e dei profeti: una volta trovato lui, si afferrano facilmente tutte le altre realtà. Può darsi, dunque, che colui che non ha perle o la perla di gran valore, non sia neppure discepolo del Salvatore (che ci insegna a cercare) le buone perle, non quelle torbide o quelle opache, quali sono i discorsi eterodossi, nati non verso l’Oriente, ma verso l’Occidente, o verso il Settentrione, se così occorre intendere le informazioni sulla differenza che trovammo tra le perle nate in siti diversi. E magari le perle offuscate e quelle non belle nate in posti fangosi sono i discorsi nebulosi e le eresie avviluppate nelle opere della carne.
(Origene, Commento al Vangelo di Matteo 10, 8)
La stessa spiegazione del tesoro nascosto vale anche per la perla. Ma qui il discorso segna un progresso, trattandosi di un mercante, che, dopo essere rimasto per lungo tempo nella Legge, mediante una ricerca lunga e
continua, viene a conoscenza della perla e abbandona tutto ciò che ha conseguito sotto il peso della Legge. Per molto tempo ha fatto del commercio e un giorno ha trovato la perla che desiderava. Ma questa pietra, unico oggetto dei suoi desideri, deve essere acquistata al prezzo del sacrificio di tutta la sua fatica precedente.
(S.Ilario di Poitiers, Commentario a Matteo 13, 8)
Il regno dei cieli è anche paragonato a un mercante che, in cerca di perle buone, ne trova una preziosa e la compra dopo aver venduto tutto ciò che possedeva.
Chi infatti ha perfettamente conosciuto, per quanto ciò è possibile, la dolcezza della vita in Dio, si stacca volentieri da tutto ciò che amava sulla terra. Al confronto, tutto perde valore: egli rinuncia a ciò che possiede, dona ciò che ha accumulato mentre il suo animo si infervora al pensiero delle realtà celesti, non sente attrattiva per i beni della terra e gli sembra deforme ciò che prima lo attraeva nella bellezza esteriore, perché nella sua mente rifulge solo lo splendore della perla preziosa. Del trasporto per essa, giustamente Salomone esclama: l’amore è forte come la morte (Ct 8, 6), perché, come la morte annienta il corpo, così l’amore per la vita divina spegne gli affetti verso i beni della terra. Chi infatti è totalmente preso da questo amore diventa come insensibile ai desideri delle cose esterne e terrene.
(S.Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli 11, 2)
Il nome di mercante non offenda nessuno che ascolti questa parola: qui si parla di un mercante che dà misericordia, non di quello che dà sempre un prestito ad interesse; che va in cerca degli ornamenti delle virtù, non degli stimoli dei vizi; che mira all’austerità dei costumi, non al peso delle pietre preziose; che porta i monili dell’onestà, non del lusso; che esibisce non la pomposità del piacere, ma le insegne della disciplina. Dunque, questo mercante mette in vendita queste perle del cuore e del corpo non per l’umano commercio, ma per quello divino; trafficando non per il vantaggio presente, ma per comperare quello futuro; non per la gloria terrena, ma per quella celeste; per ottenere il regno dei cieli con la ricompensa delle virtù e, a prezzo di innumerevoli beni, acquistare l’unica perla della vita eterna.
(S.Pietro Crisologo, Sermoni 47, 2)


Una rete gettata nel mare
Ciò detto, è da credere che il regno dei cieli venga paragonato a una rete che è gettata in mare e che raccoglie ogni genere di pesci, a indicare la varietà delle libere scelte degli uomini, scelte che tra di loro hanno una differenza tale, che l’ espressione «che raccoglie ogni genere» sta ad indicare uomini degni di lode o di biasimo, a seconda delle tendenze verso le specie delle virtù o dei vizi. Alla tessitura varia di una rete è poi paragonato il regno dei cieli, siccome l’antica e nuova Scrittura è intrecciata di sensi di ogni tipo e varietà.
(Origene, Commento al Vangelo di Matteo 10, 12)
Egli giustamente ha paragonato il suo insegnamento a una rete che, gettata nel mondo, ha raccolto, senza alcun danno per il mondo, coloro che abitano all’interno del mondo. Egli mostra che come una rete penetra nel mare ed è tirata su fin dalle profondità, in modo che, attraversando quest’ambiente in tutta la sua vastità, ne trae fuori coloro che sono tenuti avviluppati all’interno di esso, così egli ci tira fuori dal mondo verso la luce del vero sole. La cernita del giudizio futuro poi consiste nella scelta dei buoni gettando via i cattivi.
(S.Ilario di Poitiers, Commentario a Matteo 13, 9)
Questa rete è stata gettata poi in mare, nella vita degli uomini di ogni parte del mondo in preda alle onde, … e nuotano nelle amare realtà della vita. Questa rete, prima della venuta del Nostro Signore Gesù Cristo, non era completamente riempita: alla trama della Legge e dei profeti mancava colui che ha detto: Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. E la trama della rete trova compimento nei Vangeli e nelle parole di Gesù trasmesse mediante gli apostoli. Per questo, dunque, il regno dei cieli è simile a una rete gettata in mare, e che raccoglie ogni genere di pesci. Ma, a parte l’interpretazione della data, le parole «che raccoglie ogni genere di pesci» possono anche indicare la vocazione delle nazioni di ogni razza. Coloro poi che sono al servizio della rete gettata in mare sono il Signore della rete, Gesù Cristo, e gli angeli che si avvicinano a lui per servirlo, i quali non traggono fuori dal mare la rete e non la portano sulla riva del mare, cioè verso le realtà estranee a questa vita, se non si è completamente riempita, vale a dire se non è entrata in essa la pienezza delle genti.
(Origene, Commento al Vangelo di Matteo 10, 12)
Il regno dei cieli è anche paragonato a una rete gettata in mare che accoglie ogni sorta di pesci e che, ricolma, viene tirata a riva, ove i pesci buoni vengono scelti per essere posti nei canestri mentre
gli altri sono buttati via. La santa Chiesa è paragonata a una rete perché è affidata a pescatori, e perché ognuno, per suo mezzo, viene liberato dai flutti di questo mondo per il regno dei cieli, onde non sia inghiottito negli abissi della morte eterna.
Essa accoglie ogni sorta di pesci, chiamando al perdono dei peccati sapienti e stolti, liberi e servi, ricchi e poveri, forti e deboli. Per questo, attraverso il salmista, diciamo a Dio: A te verrà ogni creatura.
Questa rete sarà davvero ricolma quando la pienezza della storia umana sarà raggiunta, nell’ultimo giorno. La accostano e si pongono a sedere lungo la riva: come infatti il mare simboleggia il tempo, così la spiaggia ne indica la fine, quando, cioè, i buoni pesci vengono posti nei canestri mentre gli altri sono buttati via; così come ogni eletto è accolto nelle tende eterne, mentre i reprobi, smarrita la luce del Regno che è nell’intimo, sono buttati nelle tenebre esteriori. Ora infatti la rete ci accoglie tutti insieme, giusti e reprobi, come pesci fra loro mescolati, ma la riva indicherà che cosa la rete, cioè la santa Chiesa, aveva accostato. In verità, i pesci catturati non possono andare soggetti a cambiamenti, mentre noi, accolti coi nostri peccati, possiamo trasformarci per una vita santa. Riflettiamo dunque, durante la cattura, per non trovarci divisi raggiunta la spiaggia.
(S.Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli 11, 4)
Alla fine dei tempi
Che la chiamata da parte di Cristo sia universale egli stesso se ne fa garante dicendo apertamente che la rete del messaggio evangelico fa raccolta di ogni genere. E come coloro che sono esperti nella pesca e si occupano di cose di mare gettano senza stare a distinguere la rete che trascina sempre tutto ciò che vien stretto nelle maglie, così anche la forza del messaggio, la mirabile dottrina degli insegnamenti divini, che gli apostoli intrecciarono come buoni pescatori, attraggono gente di ogni genere e la conducono a Dio. La radunano fino al momento decisivo, che si realizzerà compiutamente alla fine dei tempi, quando avendo trascinato quelli presi nella rete fuori dalla vita, gli angeli di Dio, incaricati di questo, faranno la cernita di tutti separando i cattivi dai buoni.
(S.Cirillo di Alessandria, Frammento 171)
Quando la rete sarà entrata allora la tirano fuori dalla realtà di quaggiù e la portano verso quella che in senso metaforico è chiamata la riva: qui l’opera di coloro che l’hanno tratta fuori consisterà nel sedersi lungo la riva e di stabilirsi lì per riporre ciascuno dei buoni presi nella rete, nel suo proprio ordine, in quelli che qui sono detti i loro canestri, e buttino fuori coloro che hanno qualità contrarie, e sono chiamati pesci cattivi. «Fuori» poi, è la fornace del fuoco, come l’interpretò il Salvatore, dicendo: Così sarà alla fine del mondo. Verranno fuori gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente.
(Origene, Commento al Vangelo di Matteo 10, 12)

Cose nuove e cose antiche

-“Avete capito tutte queste cose?” Loro avevano capito. Egli si rivolge ai discepoli, non alla folla. E a loro, che capiscono le parabole, rende una degna testimonianza. Li paragona a sé mediante l’appellativo di padrone di casa, poiché essi hanno estratto dal loro tesoro l’insegnamento delle cose nuove e antiche. A motivo della loro scienza poi li chiama scribi, poiché hanno compreso che le cose che egli ha presentato come nuove e antiche, che si trovano cioè nei Vangeli e nella Legge, appartengono, le une e le altre, allo stesso padrone di casa e allo stesso tesoro.
(S.Ilario di Poitiers, Commentario a Matteo 14, 1)
Lo scriba è colui che ha messo da parte per sé il tesoro della vecchia e della nuova conoscenza, acquisita dalla costante lettura della Scrittura. Perciò dice beati coloro che hanno accolto in sé l’istruzione della Legge e del Vangelo e perciò estraggono dal loro tesoro cose nuove e cose antiche. Anche altrove Cristo paragona queste persone a uno scriba: Io vi mando sapienti e scribi (Mt 23, 34).
(S.Cirillo di Alessandria, Frammento 172)
Ora uno scriba diventa discepolo del regno dei cieli nel senso più semplice quando dal giudaismo passa a ricevere l’insegnamento ecclesiale di Gesù Cristo; mentre nel senso più profondo lo diventa quando, dopo aver appreso le nozioni introduttive mediante la lettura delle Scritture, ascende a quelle realtà spirituali che si chiamano «regno dei cieli». Riuscire appunto a cogliere ogni aspetto, il comprenderlo a livello superiore, raffigurarlo e dimostrarlo, è capire il regno del cielo, sicché chi abbonda della conoscenza senza inganno, nel regno fa parte della moltitudine di quelli che sono così spiegati come «cieli».
Colui poi che è davvero il padrone di casa è insieme libero e ricco; si arricchisce perché da scriba è diventato discepolo del regno dei cieli in ogni parola dell’Antica Alleanza, e in ogni conoscenza dell’insegnamento nuovo di Cristo Gesù, avendo riposta questa ricchezza nel suo tesoro, che da discepolo istruito nel regno dei cieli accumula nel cielo, ove la tignola non consuma né i ladri scassinano. E si può proprio stabilire in verità, riguardo a colui che accumula tesori nei cieli – come abbiamo spiegato sopra – che nessuna tignola delle passioni può attaccare i suoi beni spirituali e celesti.
(Origene, Commento al Vangelo di Matteo 10, 14)
L’antico destino del genere umano era stato di piombare nei vincoli dell’inferno e di sopportare supplizi eterni per i propri peccati. A questo destino era stato applicato qualcosa di nuovo con la venuta del Mediatore, per cui può entrare nel regno dei cieli chi si sforza di vivere onestamente: l’uomo, posto nella presente condizione, una volta sciolto da questa vita corruttibile ha il diritto di essere collocato nei cieli. L’antica sentenza dispone dunque che l’umanità, a motivo della colpa, piombi nella pena eterna, mentre la nuova condizione rende possibile, a chi si converte, l’ingresso nel Regno. Ciò che il Signore afferma a conclusione del racconto coincide dunque col pensiero espresso all’inizio. Prima, infatti, aveva esposto, come parabole del Regno, quelle del tesoro trovato e della perla preziosa; parlando, poi, del fuoco riservato ai reprobi nelle pene dell’inferno, per concludere così: Perciò ogni scriba istruito in ciò che riguarda il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. Questo è il senso, oltre il velo dei simboli: nella Chiesa, è un predicatore dotto chi sa proclamare sia la nuova dottrina intorno alla bellezza del Regno sia l’antica sui tremendi supplizi, perché almeno i castighi riescano a smuovere chi non accoglie l’invito al premio.
(S. Gregorio Magno, Omelie sui Vangeli 11, 5)
Così anche adesso arriva ai giudei la voce di Cristo attraverso la parola delle Antiche Scritture; sentono la loro voce ma non vedono il volto di colui che parla. Orbene, desiderano che sia tolto il velo? Si convertano al Signore. Allora infatti non vengono tolte di mezzo le cose vecchie, ma vengono riposte nel tesoro, affinché lo scriba sia ormai istruito sul regno di Dio, traendo fuori dal proprio tesoro non le sole cose nuove, ma neppure le sole cose vecchie. Se tirerà fuori soltanto le cose nuove o soltanto le cose vecchie, egli non è di certo uno scriba istruito nel regno di Dio che estrae dal proprio scrigno cose nuove e cose vecchie. Se le insegna soltanto ma non le mette in pratica, le trae fuori solo dalla cattedra, non dal tesoro del proprio cuore. Diciamo inoltre alla Santità vostra la verità: le cose che si tirano fuori dall’Antico Testamento vengono chiarite dal Nuovo. Per questo ci si rivolge al Signore affinché sia tolto il velo.
(S. Agostino, Discorsi 74, 5)

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