NT/ Settembre 17, 2023/ Vangelo-Domenica con i Padri, Liturgia della Parola domenicale, Orientamenti per la preghiera, Vangelo, Padri Chiesa, Commenti Bibbia, Raccolte, Meditazioni, Riflessioni, Sacra Scrittura, Padri, Domenica

Il perdono cristiano attinge alla misericordia divina: è fondamento della carità e fonte di quella pace che con l’incarnazione Cristo ha portato agli uomini. La maldicenza, il rancore così come la violenza non possono prendere piede nel cuore e nell’atteggiamento del vero cristiano, il quale conoscendo i propri limiti, che deve continuamente sforzarsi insieme alla grazia di superare, e la propria debolezza e imperfezione deve essere indulgente verso il fratello e perdonare: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»; infatti nella misura in cui riceviamo il perdono e la misericordia di Dio, diventiamo anche noi capaci di usare misericordia e disposti a perdonare le manchevolezze del prossimo, ben sapendo che queste sono anche le nostre e sono oggetto della misericordia infinita di Dio.

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura

All’antica legge detta del taglione «occhio per occhio, dente per dente» (cf. Es 21,24; Lv 24,19) è subentrata quella del perdono, necessaria per ottenere misericordia per i nostri peccati: “Egli non ha misericordia per l’uomo suo simile e osa pregare per i suoi peccati?”. Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati perché l’unica «vendetta» del cristiano è il perdono.

Dal libro del Siràcide (Sir 27,33 – 28,9 (NV) [gr. 27,30 – 28,7]

Rancore e ira sono cose orribili,
e il peccatore le porta dentro.

Chi si vendica subirà la vendetta del Signore,

il quale tiene sempre presenti i suoi peccati.

Perdona l’offesa al tuo prossimo

e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.

Un uomo che resta in collera verso un altro uomo,

come può chiedere la guarigione al Signore?

Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile,

come può supplicare per i propri peccati?

Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore,

come può ottenere il perdono di Dio?

Chi espierà per i suoi peccati?

Ricòrdati della fine e smetti di odiare,

della dissoluzione e della morte e resta fedele

ai comandamenti.

Ricorda i precetti e non odiare il prossimo,

l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale Dal Sal 102 (103)

R. Il Signore è buono e grande nell’amore.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici. R.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia. R.

Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe. R.

Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe. R.

 

Seconda Lettura

Cristo, morto e risorto per noi, è ormai l’anima e il fine della nostra vita: «Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore».

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 14,7-9)

Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.

Parola di Dio.

Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi,
così amatevi anche voi gli uni gli altri. (Gv 13,34)

Alleluia.

VANGELO

Perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ha solo valore di simbolo, perché il perdono proposto da Gesù non ha limiti. Il perdono è virtù dei forti e spesso richiede eroismo: perdonare significa dimenticare almeno coi fatti il torto ricevuto, non rinfacciare al fratello la sua colpa, pregare per lui, cercare di farsi amici per camminare nella via dei comandamenti. Solo chi perdona,  merita e ottiene nella stessa misura il perdono divino: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette».

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18,21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.

Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Parola del Signore.

ORIENTAMENTI PER LA PREGHIERA

Si deve perdonare a un fratello ogni qual volta ci offende e si pente.Il santo Vangelo, come abbiamo udito mentre veniva letto, ci ha dato degli ammonimenti circa il perdono dei peccati. Su questo tema dovete essere richiamati dal nostro discorso. Poiché noi siamo i servitori della parola, non nostra, ma appunto di Dio nostro Signore, che nessuno serve senza riceverne gloria, che nessuno disprezza senza incorrere nel castigo. Nostro Signore Gesù Cristo, dunque che, rimanendo nel Padre, ci ha fatti e, fattosi uomo per noi, ci ha rifatti, Dio nostro Signore in persona ci dice, come abbiamo udito: Se un tuo fratello ti avrà fatto del male, rimproveralo; se si pentirà, perdonalo; e anche se ti offende sette volte al giorno e verrà da te per dirti: Mi dispiace, perdonalo 1. Dicendo: Sette volte al giorno non volle che s’intendesse se non “tutte le volte”, per evitare che, se uno fosse offeso otto volte, non volesse perdonare. Che significa dunque: Sette volte? Significa: Sempre, ogni qual volta uno farà del male e se ne pentirà. Perché questo è il significato della frase: Sette volte al giorno ti loderò 2, come sta scritto in un altro salmo: La sua lode sarà sempre nella mia bocca 3. E perché invece di “sempre” troviamo scritto “sette volte” c’è un motivo sicurissimo: tutto il tempo si svolge in sette giorni che se ne vanno e che tornano.Si deve concedere perdono al fratello per riceverlo da Dio.Chiunque dunque tu sia che pensi a Cristo e desideri di ricevere quel che ha promesso, non devi essere pigro a fare ciò ch’egli ha comandato. Che cosa ha promesso? La vita eterna. E che cosa ha comandato? Perdona tuo fratello. Fa’ conto che ti abbia detto: “Tu che sei uomo, perdona un uomo, affinché, io che sono Dio, venga da te”. Ma tralasciamo o meglio lasciamo per il momento di parlare delle promesse divine più sublimi grazie alle quali il nostro Creatore ci renderà uguali ai suoi angeli, affinché viviamo eternamente in lui e con lui e di lui; per non parlare dunque per il momento di ciò, non vuoi ricevere da parte del tuo Dio la stessa cosa che ti comanda di dare a un tuo fratello? La stessa cosa – ripeto che ti si comanda di dare a un tuo fratello, non vuoi forse riceverla da Dio tuo Signore? Dimmi se non la vuoi e allora non darla. Quale è questa cosa, se non che tu dia il perdono a chi te lo chiede, se tu chiedi che venga accordato a te quando lo chiedi? Oppure, se tu non hai nulla da farti perdonare, io oso dire: “Non perdonare”. Tuttavia non avrei dovuto dire neppure ciò. Anche se non hai nulla da farti perdonare, devi perdonare lo stesso; poiché perdona anche Dio che non ha nulla che gli si possa perdonare.Sull’esempio di Dio dobbiamo rimettere i debiti.Tu però dirai: “Ma io non sono Dio, sono un peccatore”. Sia ringraziato Dio che ammetti d’aver dei peccati. Perdona dunque affinché sia perdonato a te. Tuttavia ci esorta lo stesso nostro Dio d’imitare lui. Innanzitutto ci esorta lo stesso Cristo nostro Signore del quale l’apostolo Pietro dice: Il Cristo è morto per noi, lasciandoci l’esempio affinché seguiamo la sua condotta 4. Eppure egli non aveva certamente alcun peccato, ma è morto per i nostri peccati e ha sparso il suo sangue per la remissione dei peccati. Prese su di sé per noi il peccato, che non avrebbe dovuto addossarsi, per liberarci dal debito. Non era lui che doveva morire, ma eravamo noi che non dovevamo vivere. Perché? Perché eravamo peccatori. Né a lui era dovuta la morte né a noi la vita. Prese su di sé ciò che a lui non era dovuto, e diede a noi ciò che non ci era dovuto. Ma poiché si tratta della remissione dei peccati, affinché non crediate che sia per voi una cosa gravosa imitare il Cristo, ascoltate l’Apostolo che dice: Perdonandovi a vicenda, come Dio ha perdonato a voi per mezzo di Cristo 5. Siate dunque – sono parole dell’Apostolo, sue non mie – siate dunque imitatori di Dio 6. È forse da superbi imitare Dio? Imitatori di Dio! Forse è da superbi. Siccome siete figli molto amati. Sei chiamato figlio: se rifiuti l’imitazione, perché cerchi l’eredità?.Il peccatore perdoni il peccatore.Direi così, anche se tu non avessi alcun peccato, che desidereresti ti fosse rimesso. Ora invece chiunque tu sia, sei un uomo; anche se tu fossi giusto, sei un uomo; se sei un laico, sei un uomo; anche se sei un monaco, sei un uomo; fossi tu un chierico, sei un uomo; anche se tu fossi un vescovo, sei un uomo; anche nell’ipotesi che tu fossi un apostolo, sei sempre un uomo. Ascolta la voce d’un apostolo: Se noi diremo d’essere senza peccati, inganniamo noi stessi 7. Chi lo ha detto? Proprio quel grande Giovanni evangelista che nostro Signore il Cristo amava più di tutti gli altri, che mentre era a tavola con Gesù posava il capo sul suo petto 8; è proprio lui a dire: Se diremo. Non dice: “Se direte d’essere senza peccato”, ma: Se diremo d’essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi 9. Si unì nella colpa, per trovarsi unito anche nel perdono. Se diremo. Vedete chi lo dice. Se diremo d’essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se invece confesseremo i nostri peccati, egli che mantiene la sua parola ed è giusto, ci perdonerà i nostri peccati e ci libererà da tutte le nostre colpe 10. In che modo “libererà”? Perdonando. Non immaginiamo che non trovi colpe da punire ma ne trovi da perdonare. Se dunque abbiamo peccati, fratelli, concediamo il perdono a quelli che ce lo chiedono, concediamolo a coloro che si pentono. Non conserviamo nel nostro cuore l’inimicizia. Se infatti conserviamo ad oltranza l’inimicizia, questa corrompe lo stesso nostro cuore.Nella preghiera si chiede perdono a Dio col patto di perdonare agli altri.Desidero dunque che tu conceda il perdono poiché ti considero come uno che lo chiedi anche tu. Ne vieni pregato? Perdona. Tu ne vieni pregato e lo implorerai tu stesso. Se ne vieni pregato, perdona, come anche tu preghi di essere perdonato. Ecco: verrà il momento di pregare; con le parole che pronuncerai, ti metterò con le spalle al muro. Tu dirai: Padre nostro, che sei nei cieli 11. Ebbene, non sarai annoverato tra i figli, se non dirai: Padre nostro. Dirai dunque: Padre nostro, che sei nei cieli. Seguita: Sia santificato il tuo nome. Di’ ancora: Venga il tuo regno. Prosegui ancora: Sia fatta la tua volontà, come in cielo, così in terra. Vedi ora che cosa soggiungi: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Dov’è la tua ricchezza? Ecco, tu chiedi l’elemosina. Tuttavia dopo aver detto: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, di’ ancora ciò di cui si tratta, di’ quel che segue: Rimetti a noi i nostri debiti. Sei arrivato a ciò ch’io dicevo. Rimetti, è detto, i nostri debiti. Fai dunque ciò che segue. Rimetti a noi i nostri debiti. Con qual diritto? A qual patto? Con qual accordo? Leggendo quale impegno sottoscritto di proprio pugno? Come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Non ti basta il fatto che non condoni, ma tu mentisci per di più anche a Dio. È stata stabilita la condizione; è stabilita solidamente la legge. Perdona tu, come perdono io. Dio dunque non ti perdona, se tu non perdoni. Perdona, come perdono io. Tu vuoi che ti si dia il perdono quando lo chiedi, dallo anche tu a chi te lo chiede. Questa preghiera l’ha dettata il giurisperito celeste. Non t’inganna. Chiedi conforme alla giustizia celeste, di’: Perdona, come perdoniamo anche noi. Fa’ però quel che dici. Chi mentisce nel pregare, si priva della grazia. Chi mentisce nel pregare, non solo perde la causa, ma trova il castigo. Se poi uno mentisce all’imperatore, quando verrà questi, quello verrà convinto che mentisce; quando invece tu mentisci nel pregare, vieni convinto dalla stessa preghiera. Poiché Dio, per convincerti, non ha bisogno di testimoni contro di te. Colui che ti ha dettato la preghiera è il tuo avvocato; se però mentisci, è tuo testimonio; se non ti correggi, sarà tuo giudice. Perciò non solo devi dire quella frase, ma devi pure metterla in pratica; poiché se non la dirai, per il fatto che chiedi contro la legge, non otterrai; se poi la dirai e non la metterai in pratica, sarai anche colpevole di menzogna. Non è possibile passar oltre questo versetto se quel che dici non è messo in pratica. Potremo forse cancellare questo versetto dalla nostra preghiera? Oppure volete che ci sia la frase: Rimetti a noi i nostri debiti e cancelliamo quella che segue: Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori? Non dovrai cancellarla per non essere prima cancellato tu stesso. Nella preghiera dunque tu dici: Da’, dici: Perdona, affinché tu riceva ciò che non hai e ti siano perdonate le tue colpe. Vuoi ricevere? Da’. Vuoi essere perdonato? Perdona. È un breve dilemma. Ascolta Cristo in un altro passo: Perdonate e sarete perdonati. Date agli altri e Dio darà a voi 12. Perdonate e sarete perdonati. Che cosa perdonerete? Le offese commesse dagli altri contro di voi. Che cosa vi sarà perdonato? Vi saranno perdonate le offese commesse da voi. Ma voi: Date agli altri e Dio darà a voi. Voi, che desiderate la vita eterna, ristorate la vita temporale dei poveri; sostentate la vita temporale dei poveri e in cambio di questo seme tanto piccolo e terreno riceverete come messe la vita eterna. Amen.

(S.Agostino, Discorso 114)

(Note Scritturistiche:1 – Lc 17, 3-4; 2 – Sal 118, 164; 3 – Sal 33, 2; 4 – 1 Pt 2, 21.  5 – Ef 4, 32; Col 3,13; 6 – Ef 5, 1; 7 – 1 Gv 1, 8; 8 – Cf. Gv 21, 20; 9 – 1 Gv 1, 8; 10 – 1 Gv 1, 8-9; 11 – Mt 6, 9-12; 12 – Lc 6, 37-38.

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Dio è terribile quando gli piace di esserlo. Ci sono qui delle persone che si credono anime elette, si accostano ai sacramenti, e fanno pesare sui loro fratelli un fardello più pesante della morte. La questione è di sapere se esse saranno gettate ai piedi del Giudice, prima di uscire dal loro spaventevole sonno […] Poiché Dio, che si è fatto povero facendosi uomo è in un certo senso sempre crocifisso, sempre abbandonato, agonizzante fra le torture. Ma che cosa pensare di quelli che non conobbero mai la pietà, sono incapaci di versare delle lacrime e non si credono empi? Ah! perché non posso gridare in voi, suonare l’allarme in fondo ai vostri cuori carnali! darvi l’inquietudine salutare, la santa paura di trovare il vostro Redentore fra le vostre vittime? «Io sono Gesù che tu perseguiti». Si sa che questo Maestro si è spesso nascosto in mezzo agli indigenti, e quando facciamo soffrire un uomo pieno di miserie, non sappiamo quale membra del Salvatore noi strappiamo.

(La Bloy, La donna povera)

Non c’è spazio per la collera. A Pietro poi che gli domandava se dovesse perdonare sette volte a un fratello che peccava contro di lui, rispose: Non fino a sette, ma fino a settanta volte sette. Egli ci forma a imitare totalmente la sua umiltà e la sua bontà e, per smussare e spezzare gli aculei dei nostri moti disordinati, ci rafforza con l’esempio della sua clemenza. Egli accorda infatti; per la fede, il perdono di tutti i peccati. I vizi della nostra natura non meritavano certo il perdono. Il perdono quindi è totale perché il Signore rimette anche i peccati commessi contro di lui, in seguito al ritorno mediante la confessione. La pena che ha dovuto pagare Caino è stata fissata sette volte tanto. Ma si tratta di un peccato commesso contro un uomo, poiché è contro suo fratello Abele che aveva peccato fino ad ucciderlo. Nel caso di Lamech, invece, il suo castigo è stato fissato fino a settanta volte sette, e noi riteniamo che la pena fissata per lui riguarda i responsabili della passione del Signore. Ma il Signore accorda il perdono per questo crimine mediante la confessione dei credenti: cioè, mediante il dono del battesimo, concede la grazia della salvezza ai suoi nemici e persecutori. Quanto più ci insegna, noi dobbiamo concedere senza misurarlo né contarlo e dobbiamo pensare non a quante volte perdoniamo, ma a smettere di indignarci contro coloro che peccano contro di noi, ogni qualvolta ci sia necessità di indignarci! In ogni caso, questa costanza nel perdonare ci insegna che non ci deve essere in noi nessuna occasione di risentimento, poiché Dio ci accorda, per dono suo più che per nostro merito, il perdono completo di tutti i nostri peccati. Non è conveniente infatti limitare con un numero, come prescrive la Legge, il perdono da concedere, quando Dio, mediante la grazia del Vangelo, ci ha accordato un perdono senza misura.

(S.Ilario di Poitiers, Commentario a Matteo 18, 10)Le settantasette generazioni da Adamo a Cristo. Che significa dunque settantasette volte? Sentite, fratelli, un gran simbolismo, una mirabile allegoria. Quando il Signore fu battezzato, l’evangelista san Luca ricorda le generazioni di lui, cioè con qual ordine, con quale serie d’antenati, attraverso quale albero genealogico si arrivò alla generazione dalla quale nacque Cristo. Matteo comincia da Abramo e in ordine discendente arriva fino a Giuseppe. Luca invece comincia a contare gli antenati in ordine ascendente. Perché il primo enumera gli antenati in ordine discendente, e il secondo in ordine ascendente? Perché Matteo voleva far risaltare la generazione di Cristo mediante la quale discese fino a noi; perciò da quando nacque Cristo comincia a contare in ordine discendente. Luca invece comincia a contare da quando Cristo fu battezzato; lì è l’inizio della serie ascendente; comincia a contare in ordine ascendente e contando arriva a un totale di settantasette generazioni. Da chi comincia a contare? State attenti: da chi? Comincia a contare da Cristo fino allo stesso Adamo, che fu il primo a peccare e che ci ha generati con il vincolo del peccato. Arriva fino ad Adamo, e si contano settantasette generazioni, cioè da Cristo ad Adamo le settantasette che abbiamo detto e da Adamo fino a Cristo settantasette. Se dunque non è stata tralasciata nessuna generazione, non è tralasciata alcuna colpa che non si debba perdonare. Luca dunque enumera settantasette generazioni di Cristo, lo stesso numero indicato dal Signore riguardo al perdono dei peccati, poiché Luca incomincia a contare dal battesimo con il quale sono cancellati tutti i peccati.

(S.Agostino, Discorsi 83, 5)

Quale re e quale regno? Se fu assimilato ad un re che ha tali qualità ed ha compiuto tali cose, di chi deve trattarsi se non del Figlio di Dio? Lui è infatti il re dei cieli: e come è lui la Sapienza-in-sé, la Giustizia-in-sé e la Verità-in-sé, così sarà anche lui il Regno-in-sé; regno non già di una realtà di quaggiù, né di una parte delle cose di lassù, bensì di tutte le realtà di lassù chiamate «cieli». Se ti poni la domanda in che senso a loro appartiene il regno dei cieli, puoi rispondere che a loro appartiene il Cristo, in quanto è il Regno-in-sé.

(Origene, Commento al Vangelo di Matteo 14, 7)

Fare i conti con i propri servi. Nel fare i conti con i servi, il padrone esige anche da coloro che hanno preso prestiti dai suoi servi, si tratti delle cento misure di grano, dei cento barili di olio, o di qualunque altra cosa ricevuta da quanti non fanno parte della cerchia domestica. Stando alla parabola infatti, non si trova un collega dell’amministratore disonesto, a dover le cento misure di grano e i cento barili d’olio, come risulta evidente dalle parole: Quanto devi al mio padrone? Ora, devi intendere che ogni azione buona e conveniente somiglia ad un guadagno con aumento, ed ogni azione cattiva ad un deficit. E come c’è un guadagno di più, un altro di meno di monete d’ argento, e come variamente si realizza il guadagno di più o di meno (monete d’ argento), allo stesso modo per le azioni buone avviene una specie di bilancio relativo ai maggiori e ai minori guadagni.

(Origene, Commento al Vangelo di Matteo 14, 8)

Gradi di peccato: Hai visto quanta differenza c’è tra i peccati verso l’uomo e quelli verso Dio? La stessa differenza che intercorre tra diecimila talenti e cento denari, anzi molto di più. Ciò deriva dalla differenza delle persone e dalla frequenza dei peccati. Se infatti un uomo ci vede, ci asteniamo e rifuggiamo dal peccare; benché invece Dio guardi ogni giorno, non ci teniamo lontano dal peccato, ma facciamo e diciamo tutto senza ritegno.

(S.Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 61, 1)

Il re cominciò a fare i conti: Il momento in cui inizia il giudizio è quello che incomincia dalla casa di Dio. Il quale ordina (come è scritto in Ezechiele) agli <angeli> incaricati di infliggere le pene: Cominciate dai miei santi, e questo avverrà come in un batter d’occhio. Ma il tempo del rendiconto prende inizio («inizio» va inteso come modo di pensare; non perdiamo di vista ciò che abbiamo detto in precedenza) da coloro che devono di più; ecco perché non sta scritto: «avendo egli fatto i conti», ma avendo già “incominciato” a fare i conti: gli fu presentato (all’inizio del suo fare i conti) uno che gli era debitore di molti talenti. Egli ne aveva perduti migliaia e migliaia, e pur essendogli consegnate somme ingenti ed affidati beni numerosi, nessun guadagno ha apportato al padrone, bensì tante perdite, si da essere debitore di molti talenti; e può darsi che proprio per questo motivo dovesse molti talenti, per aver molte volte seguito la donna seduta sul talento di piombo, chiamata Empietà. (Origene, Commento al Vangelo di Matteo 14, 10)

Ordinò che fosse venduto con sua moglie e i suoi figli:· Ma poiché costui non poteva pagare, ordinò che fosse venduto lui, sua moglie e i figli. Per quale motivo?, dimmi. Non per crudeltà né per disumanità, perché il danno ricadeva su di lui, in quanto anche quella era una serva, ma per un’ineffabile sollecitudine. Vuole spaventarlo con questa minaccia per spingerlo a supplicare, non perché fosse venduto. Se l’avesse fatto per questo, non avrebbe acconsentito alla sua richiesta né gli avrebbe concesso la grazia: Perché, prima del rendiconto, non ha agito così e non gli ha condonato il debito? Perché voleva insegnare da quanti debiti lo liberava, affinché anche in questo modo diventasse più buono verso il suo compagno di servitù. Se infatti, pur avendo conosciuto il peso del debito e la grandezza del condono, persisteva nel prendere per la gola il suo compagno di servitù, se non lo avesse istruito preventivamente con tali farmaci, a qual punto di crudeltà non sarebbe arrivato?

(S.Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 61, 3)

La vendita forzata di sua moglie e del resto della famiglia mostra la completa e totale separazione dalla gioie di Dio. Infatti la vendita rappresenta in modo chiaro l’alienazione da Dio. E coloro che sono alienati da Dio sono quelli che odono queste amare e spaventose parole: Allontanatevi da me, operatori d’iniquità, poiché io non vi conosco (Mt 7, 23; Lc 13, 27).

(S.Cirillo di Alessandria, Frammento 217)

Il padrone vuole redimere. Hai visto ancora la sovrabbondanza della sua bontà? Il servo chiese solo una dilazione nel tempo e una proroga, mentre quello concesse più di quanto avesse richiesto, la remissione e il condono dell’intero debito. Certamente voleva concederlo anche fin dall’inizio; voleva però che fosse dono non solo suo, ma anche della supplica del servo, perché non andasse via senza premio. Che tutto dipendesse da lui, anche se il servo si gettò a terra e lo supplicò, lo ha mostrato la causa del condono: Mosso a compassione, infatti, gli condonò il debito. Ma tuttavia anche così voleva che sembrasse che pure quello desse qualche contributo, perché non fosse del tutto svergognato e perché, ammaestrato nelle proprie disgrazie, fosse incline al perdono nei confronti del suo compagno di servitù. (S.Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 61, 3) Il padrone condona il debito. Passando ora all’interpretazione mistica si deve affermare che nella persona del re è da vedere il Figlio di Dio, presso il quale ogni razza era vincolata da un debito infinito, poiché tutti quanti senza eccezione eravamo debitori del peccato e della morte a causa della prevaricazione. I diecimila talenti stanno ad indicare i grandi peccati del genere umano. È bensì vero che tutti gli uomini sono debitori e, per legge naturale, soggetti al re celeste, poiché così intende l’Apostolo la legge naturale: Quando i pagani che non hanno la Legge <per natura agiscono secondo la legge>; essi sono Legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la Legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti: che ora li accusano, ora li difendono. Ma va precisato che sottoposto al peccato in questo caso era soprattutto il popolo dei giudei, il quale, anche dopo tanti e così segnalati benefici, non riuscì ad osservare la Legge ricevuta per mezzo di Mosè. Non avendo il popolo quanto gli sarebbe stato necessario per soddisfare l’enorme debito contratto, il padrone aveva comandato che fosse venduto lui, la moglie, i figli; in altre parole: il popolo medesimo, con la sinagoga e con la sua discendenza, doveva essere venduto per la morte. Ma poiché in nessuna maniera né il popolo giudaico (il quale aveva pur ricevuto la Legge), né le genti, cioè proprio noi, potevano pagare un debito per sé insolubile, mosso a misericordia e a pietà, quel pietoso re celeste ci condonò tutti quanti i peccati. E di quali debiti si tratta se non di quelli che domandiamo ogni giorno che ci vengano perdonati, quando osiamo dire: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori? Poiché dunque il debito del peccato e della morte eterna non poteva in alcun modo essere scrollato di dosso, né con una soddisfazione, né con una penitenza condegna, quel pietoso re eterno, venendo dal cielo e perdonando al genere umano i peccati, finì col condonare qualsiasi debito a tutti coloro che credettero in lui. Come abbia fatto a condonarci i peccati, lo dimostra chiaramente il santo Apostolo che spiega in questo modo: Annullando – egli dice – il documento scritto nel nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli: egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce. Eravamo prigionieri del peccato, quasi come sotto il debito sancito da un editto. Il testo scritto dell’editto era là ad accusarci, il Figlio di Dio lo ha cancellato con l’acqua del battesimo e versando il suo sangue. In breve: proprio in questo sacramento istituito per togliere via l’editto, nel tempo della sua passione, dal fianco del Signore sono sgorgati sangue ed acqua. Ma sappiamo pure che non mancò nemmeno la spugna per il Signore che pendeva dalla croce, per dimostrare proprio che tutti i peccati di tutto il mondo dovevano venire cancellati dal mistero della sua passione; naturalmente per mezzo di colui che Giovanni aveva additato: Ecco l’agnello di Dio, ecco chi toglie via il peccato dal mondo.

(Cromazio di Aquileia, Trattati sul Vangelo di Matteo 59, 5)Sangue e Acqua usciti dal Cuore di Gesù attraverso il costato come sorgente di misericordia per noi.

Dobbiamo rimettere i debiti al nostro prossimo. Il Dio di tutte le cose ci libera dalle difficoltà delle nostre colpe secondo quanto detto nella parabola. Questo è il significato specifico dei diecimila talenti (cf. Mt 18, 24). Ma ciò avviene solo a patto che noi stessi liberiamo i nostri compagni di servitù dal debito di cento denari, cioè da quelle piccole colpe che possono aver commesso contro di noi. (S.Cirillo di Alessandria, Frammento 216)Ti pagherò. Non solo da ciò i peccati sono resi più gravi, ma anche dai benefici e dall’onore di cui abbiamo goduto. Se volete sapere in che modo i peccati contro di lui sono diecimila talenti, anzi anche molto di più, cercherò di dimostrarlo brevemente. Ma temo di offrire maggior sicurezza a coloro che inclinano alla malvagità e amano peccare continuamente o di gettare nella disperazione quelli che sono più buoni e che dicono come i discepoli: Chi può salvarsi?. Tuttavia però anche in questo caso parlerò per rendere più saldi e più buoni coloro che prestano attenzione. Difatti quelli che sono insensibili e inguaribilmente malati, anche indipendentemente da queste argomentazioni non si allontanano dalla propria negligenza e iniquità, e se da tali argomentazioni traggono maggior occasione di negligenza, la causa non sta in quanto viene detto, ma nella loro insensibilità. Sicché quanto viene detto potrà maggiormente frenare e spingere a pentimento coloro che prestano attenzione, e i migliori, quando si accorgeranno della mole dei peccati e si renderanno conto della forza del pentimento, si rivolgeranno di più a questo; perciò è necessario parlare. Parlerò dunque e presenterò i peccati che commettiamo sia verso Dio, sia verso gli uomini, e non presenterò quelli personali, ma quelli comuni; ciascuno poi unisca quelli personali in base alla sua coscienza. Lo farò, ma dopo aver presentato prima i benefici di Dio. Quali sono dunque questi benefici? Ci ha creati quando non esistevamo, per noi ha fatto tutte le cose visibili, il cielo, il mare, la terra, l’aria, tutto ciò che è in essi, gli animali, le piante, i semi; bisogna sintetizzare a causa del mare sconfinato delle sue opere. Solo a noi tra quelli che sono sulla terra infuse un’anima vivente, piantò il paradiso, dette un aiuto, gli ha dato il dominio su tutti gli esseri irrazionali, lo ha incoronato di gloria e di onore. Inoltre, nonostante che fosse ingrato verso il suo benefattore, lo ha gratificato con un dono più grande.

(S.Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 61, 1)

Un servo ingiusto e crudele. Poiché all’interrogativo di Pietro il Signore aveva detto che non sette volte ma settanta volte sette occorreva perdonare al fratello che manca, a questo punto pensò bene di confermare l’insegnamento con una parabola, facendo un confronto tra quel re e il suo servo; servo indegno di tanta bontà, perché, dopo aver ottenuto il condono di un debito insolvibile, egli invece non ebbe un minimo di misericordia nei confronti di un suo conservo che gli doveva una bazzecola. La conseguenza di un comportamento tanto disumano non si fece attendere: lo colpì il meritato castigo; poiché venne consegnato agli aguzzini perché gli infliggessero la pena che si era meritato. Un servo tanto malvagio non meritava forse di subire qualsiasi castigo, se – dopo aver sperimentato una bontà sconfinata da parte del suo padrone – egli stesso invece fu cosi sadicamente irremovibile e crudele nei confronti del suo conservo? L’esempio è chiaro come l’insegnamento che ne deriva: ci si dice manifestamente che se non sappiamo rimettere i debiti contratti verso di noi dai nostri conservi- «conservi», qui, vuol dire «fratelli» -, andremo -incontro a una pena simile a quella di cui parla la parabola. È vero che si tratta di un esempio portato come paragone; tuttavia la parabola include in se stessa una sua completa giustificazione e una verità molto eloquente.

(Cromazio di Aquileia, Trattati sul Vangelo di Matteo 59, 4)

Pietà e mancanza di pietà. Hai visto la crudeltà del servo? Ascoltate, voi che vi comportate cosi per denaro. Se infatti non si deve agire così per i peccati, a maggior ragione per il denaro. E quello che rispose? Abbi pazienza con me e ti pagherò tutto. L’altro non ebbe riguardo delle parole per mezzo delle quali era stato salvato: difatti egli stesso, dopo averle dette, fu liberato dal debito dei diecimila talenti; non riconobbe il porto, mediante il quale era sfuggito al naufragio; il modo della supplica non gli richiamò alla mente la bontà del padrone, ma, scacciando tutto ciò per avidità, crudeltà e rancore, più feroce di ogni belva soffocava il suo compagno di servitù. Che fai, o uomo? Non ti accorgi di chiedere a te stesso, di spingere la spada contro te stesso e di revocare la sentenza e il dono del padrone? Ma non pensò a nulla di questo, non si ricordò della propria situazione, né accondiscese; eppure, la supplica non riguardava lo stesso debito. L’uno infatti supplicava per diecimila talenti, l’altro per cento denari; l’uno pregava il suo compagno di servitù, l’altro il padrone; l’uno ottenne un condono completo, l’altro chiedeva una dilazione. Ma quello non concesse nemmeno questa: difatti lo fece gettare in carcere. (S.Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 61, 4) Finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Pertanto questa parabola descrive in breve l’indescrivibile amore di Dio. Chi non imiterà quest’amore per quanto possibile soffrirà severe punizioni da parte del Giudice divino. Sebbene sia stato detto: Le benedizioni di Dio non devono essere rimpiante, tuttavia la malvagità è tanto forte da poter bloccare queste parole stesse. Così questa parabola ci richiede due cose: ricordarci dei nostri errori e non portare rancore verso coloro che inciampano.

(Apollinare di Laodicea, Frammento 92)

Se non perdonerete così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi. Il padrone lo consegnò, finché non avesse pagato il dovuto, cioè per sempre, perché non avrebbe mai potuto pagare. Dal momento che non sei divenuto migliore mediante il beneficio che hai ricevuto, resta che tu venga corretto con il castigo. Certamente le grazie e i doni sono irrevocabili, ma la malvagità ha avuto una forza così grande da infrangere anche questa legge. Che c’è di più grave del serbare rancore, quando manifestamente distrugge un tale e così grande dono divino? E non lo consegnò semplicemente, ma lo fece irritato. Quando infatti ordinò che fosse venduto, le sue parole non manifestavano ira; perciò non lo fece, ma fu una grandissima occasione di mostrare la sua bontà. Ora invece la sua sentenza indica grande irritazione, punizione e castigo. Che vuole dunque dire la parabola? Così farà anche a voi il Padre mio, se non perdonate ciascuno di cuore al proprio fratello le sue colpe. Non dice: il Padre vostro, ma: il padre mio. Non è giusto infatti che Dio sia chiamato Padre di una persona siffatta, così malvagia e disumana.

(S.Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 61, 4)

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