«Con un Dio dalle idee tanto grandi, noi siamo costretti a difendere piuttosto energicamente la nostra banalità. Poiché il nostro sogno è l’appartamento di tre locali […], non ci sentiamo attirati dalle praterie sconfinate del Regno. O meglio, potremmo anche rassegnarci alla Gerusalemme celeste, purché i tre locali […] ci vengano intanto lasciati. Ci piace la perla, ma ci piace anche il nostro poco denaro, caldo, palpabile, sicuro».
Prima Lettura
La parola di Dio è sempre efficace: è come la pioggia che cade sul terreno e lo feconda. Tutto sta nell’accoglierla nel nostro cuore e farla fruttificare, anche dove si constati la contrarietà dell’ambiente in cui viviamo.
Dal libro del profeta Isaìa (Is 55,10-11)
Così dice il Signore:
«Come la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina
e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
Parola di Dio.
Salmo Responsoriale Dal Sal 64 (65)
R. Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli.
Tu visiti la terra e la disseti,
la ricolmi di ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque;
tu prepari il frumento per gli uomini. R.
Così prepari la terra:
ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli. R.
Coroni l’anno con i tuoi benefici,
i tuoi solchi stillano abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono di esultanza. R.
I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di messi:
gridano e cantano di gioia! R.
Seconda Lettura
L’espressione biblica doglie del parto significa uno stato attuale di sofferenza e, nello stesso tempo, l’attesa di una realtà futura di gioia. Questi dolori, hanno un senso e dimostrano che è iniziata la realizzazione di una promessa: «L’ardente aspettativa della creazione è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio».
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani (Rm 8,18-23)
Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.
La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.
Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.
Parola di Dio.
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.
Il seme è la parola di Dio,
il seminatore è Cristo:
chiunque trova lui, ha la vita eterna.
Alleluia.
VANGELO
Come meritare queste parole che il Signore rivolge ai suoi discepoli: «Beati i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi perché sentono»? Avvicinandoci il più possibile a un certo stato d’animo. I discepoli erano semplici, retti, senza un sistema intellettuale intransigente, poveri, senza privilegi da difendere, senza egoismi da proteggere, aderenti alla vita reale, e, prerogativa delle persone integre e oneste, avevano soprattutto un cuore puro. Oggi per tenere le orecchie e gli occhi aperti al Vangelo, dobbiamo immunizzarci da un ambiente intellettuale e etico-spirituale se così si può dire, che vorrebbe, ossia che vuole contaminare il cuore e turbare lo spirito.
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,1-23)
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono.
Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice:
“Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!”.
Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!
Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Parola del Signore.
ORIENTAMENTI PER LA PREGHIERA
L’erba si secca, il fiore appassisce, ma la parola del nostro Dio dura per sempre (Is 40,8)
Con la nostra collaborazione che suscita, Cristo si completa, raggiunge la sua pienezza, cominciando da ogni creatura. Ce lo dice San Paolo. Immaginavamo forse che la creazione fosse finita da molto tempo. Errore! Essa continua sempre di più, e nelle zone più alte del mondo. «Tutta la Creazione fino ad ora geme nelle doglie del parto». E noi serviamo per portarlo a termine, anche con il lavoro più umile delle nostre mani. Tali sono, in definitiva, il senso e il valore dei nostri atti. In virtù del legame reciproco tra materia-anima-Cristo, qualunque cosa facciamo, noi portiamo a Dio una particella dell’essere che egli desidera. Con ciascuna delle nostre opere, lavoriamo atomicamente, ma realmente, a costruire il pleroma, cioè a portare a Cristo un po’ di completamento.
(Teilhard de Chardin, L’ambiente divino)
Come negare che l’immagine di Dio rivesta un certo «stile» particolare secondo le epoche? Perché non sarebbe riservato al nostro tempo di vivere in una maniera privilegiata il mistero del Dio nascosto, il mistero del suo silenzio? K. Rahner parla in una delle sue opere dello spavento dell’uomo moderno davanti all’assenza di Dio, della sua «costernazione davanti al silenzio di Dio». Secondo la qualità della nostra fede, questo silenzio può farci cadere in un ateismo pratico, come può invitarci a una interpretazione nuova dell’esistenza cristiana. L’assenza di Dio nel mondo dev’essere accettata dal credente come un destino storico permesso da Dio e che esige un nuovo stile d’esistenza cristiana, uno stile più modesto, fatto di un’umile «fraternità nella debolezza» con tutti quelli che non vedono più le tracce di Dio quaggiù. Non è un caso se in questa seconda metà del secolo XX la nostra arte cristiana vuole essere più sobria, se la nostra predicazione meno «trionfalistica», se la nostra apologetica rinunzia alle formazioni troppo ridondanti.
(C. Geffrè, Dio tace)
Si siede presso il mare come chi vuol pescare e prendere nella rete coloro che stanno sulla terra. Non è senza motivo infatti che Cristo si siede in riva al mare; e a tale motivo accenna l’evangelista. Gesù si mette in quel luogo per dimostrare che vuole radunare i suoi ascoltatori in modo da averli tutti rivolti a sé e che nessuno sia alle sue spalle.
(S.Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 44, 2)
Il popolo non poteva essere introdotto nella casa di Gesù, né esser presente dove gli apostoli udivano i misteri; per questo il Signore misericordioso e compassionevole esce dalla casa sua e siede presso il mare di questo secolo, in modo che le folle gli si possano stringere intorno e, stando sulla riva, possano ascoltare le cose che non erano degne di udire stando in casa.
Gesù sale sulla barca e vi prende posto, mentre la folla resta sulla riva. Avanza in mezzo ai flutti mentre le onde percuotono l’imbarcazione su cui egli sta, sicuro nella sua maestà, e infine comanda di accostare la barca alla riva. Il popolo, senza correre nessun rischio, senza essere circondato dalle tentazioni che non potrebbe sopportare, se ne sta fermo sulla spiaggia, per ascoltare le sue parole.
(S.Girolamo, Commento al Vangelo di Matteo 2, 13, 2)
Al di fuori della parola divina
Il motivo per cui il Signore si è seduto sulla barca e la folla è rimasta fuori viene spiegato dai fatti che seguono. Egli avrebbe parlato in parabole e il modo in cui avvengono questi fatti indica che coloro che sono posti al di fuori della Chiesa non possono conseguire alcuna comprensione della parola divina. La barca è figura della Chiesa, all’interno della quale si trova e viene predicato il Verbo della vita, incomprensibile per coloro che sono al di fuori e si distendono accanto sterili e inutili come la sabbia.
(S.Ilario di Poiriers, Commentario a Matteo 13, 1)
Parlò in parabole
In realtà non si esprimeva così, intessendo con tante parabole il suo discorso quando parlava sulla montagna. Allora si rivolgeva alle turbe e a un popolo semplice, mentre ora l’ascoltano scribi e farisei.
Considerate, vi prego, la prima di queste parabole, e notate come l’evangelista Matteo le riferisce tutte nella loro logica successione. Qual è dunque la prima? Conveniva scegliere per prima quella che fra tutte era la più efficace a sollecitare l’attenzione degli ascoltatori. Siccome Gesù si appresta a parlare enigmaticamente, incomincia con questa prima parabola a suscitare la curiosità.
(S.Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 44, 2)
Parabole differenti per ascoltatori differenti
La folla non ha un solo e identico pensiero; in ognuno c’è una diversa volontà.
Ecco perché egli si rivolge alla folla con molte parabole, affinché ognuno riceva il suo particolare insegnamento a seconda del suo particolare sentire. Va osservato che Gesù non parla alla folla sempre in parabole, ma lo fa spesso. Se parlasse sempre in parabole, la folla non ne ricaverebbe troppo giovamento. Egli mescola chiari insegnamenti a oscure parole, affinché ciò che gli ascoltatori comprendono li spinga a cercar d’intendere ciò che non capiscono.
(S.Girolamo, Commento al Vangelo di Matteo 2, 13, 3)
Le parabole rivelarono quanto era stato profetizzato
Per questo Cristo parla in parabole, per mostrare in questo modo che è proprio lui quello che è stato profetizzato e del quale Davide dice: Aprirò in parabole la mia bocca (Sal 78, 2) e ancora: Verrà un uomo che nasconde le sue parole e si terrà nascosto dall’acqua impetuosa (Is 32, 2).
(S.Cirillo di Alessandria, Frammento 164)
Sollecitare l’attenzione degli ascoltatori
Ecco, il seminatore uscì a seminare. Da dove uscì, o come uscì’ colui che è presente ovunque e che tutto riempie? Sta di fatto che quando il Signore si è avvicinato a noi, incarnandosi, non lo ha fatto certo passando da un luogo a un altro, ma assumendo la natura umana e mettendosi in un rapporto, in un contatto nuovo con noi. Poiché, infatti, noi non potevamo entrare là dove Dio abita, dato che i nostri peccati erano come una muraglia che ci sbarrava la strada per andare da lui, egli stesso è venuto a noi. Per quale motivo è venuto? È venuto forse per distruggere la terra, che era tutta coperta di spine? Per punire gli agricoltori? Niente affatto. È venuto per coltivare e curare egli stesso questa terra e per seminarvi la parola della virtù e dell’amore. Per semente egli intende qui la sua parola; la terra che la riceve sono le anime degli uomini, mentre egli stesso è il seminatore.
Ma che accade dei chicchi seminati? Tre parti vanno perdute e una sola si salva. Solo la quarta parte dei chicchi seminati si salva, e neppure questa in maniera uguale; ma anche tra di essa v’è grande differenza. Con questa parabola Gesù vuol far intendere che egli ha offerto a tutti generosamente la sua parola e la sua dottrina. Come il seminatore non fa distinzioni nella terra su cui lavora ma getta semplicemente ovunque, così Cristo predicando non distingue il ricco, il povero, il sapiente, l’ignorante, l’uomo pieno di fervore, il pigro, il coraggioso e il vile, ma parla a tutti indistintamente e compie tutto quanto deve essere compiuto da parte sua, sebbene preveda ciò che accadrà. Dopo aver seminato, egli potrebbe benissimo dire: «Che posso fare di più che io non abbia fatto?». I profeti parlano del popolo come di una vigna; dice Isaia: Una vigna aveva il diletto (Is 5, 1), e David: Una vigna hai trapiantato dall’Egitto (Sal 80, 8). Gesù invece si serve del paragone della semente. E che vuol dire con ciò? Che ora sarà più rapida e facile l’obbedienza e che la terra darà immediatamente il suo frutto. Quando voi sentite dire il seminatore uscì a seminare, non crediate che queste parole siano una ripetizione. Colui che semina esce spesso per altri lavori: ad esempio, per dissodare il terreno, per strappare le erbacce, per tagliare i rovi o per altre analoghe ragioni: Cristo invece esce per seminare.
Per qual motivo, ditemi, la maggior parte della semente si perde? Non è certo per colpa del seminatore, ma della terra che accoglie i semi, dell’anima cioè che non ascolta. Perché Gesù non dice esplicitamente che i pigri hanno accolto i chicchi seminati, ma li hanno lasciati beccare dagli uccelli, i ricchi li hanno soffocati e coloro che vivono nel lusso e nelle vanità li hanno lasciati seccare? Cristo non vuole colpirli con troppa veemenza, per non gettarli nella disperazione, ma lascia la dimostrazione e l’applicazione alla coscienza dei suoi ascoltatori.
E del resto, ciò accade non solo al seme, di cui una parte si perde, ma accadrà poi anche alla rete. La rete infatti prende molti pesci inutili. Gesù senza dubbio narra questa parabola per incoraggiare i suoi discepoli ed insegnar loro che, quand’anche la maggior parte di coloro che riceveranno la parola divina si perdesse, non devono per questo avvilirsi.
La stessa cosa accadde anche al Signore; ma egli, pur prevedendo chiaramente ciò che sarebbe successo, non per questo rinunziò a seminare.
Ma come è concepibile – mi direte voi – che si semini sulle spine, sul terreno roccioso e lungo la via? Vi rispondo che la cosa sarebbe assurda, se si trattasse della seminagione terrena che si fa in questo mondo: è invece assai lodevole il fatto, dato che si tratta delle anime e della dottrina divina. Verrebbe certamente ripreso il contadino che disperdesse in questo modo la semente. Il terreno roccioso non può infatti divenire terra buona, né la via può cambiare, e gli spini restano sempre tali.
Ma non è così nell’ordine spirituale.
Le pietre possono mutarsi e diventare terra fertile, la via più battuta può non esser più calpestata e aperta a tutti i passanti, ma divenire campo produttivo, e anche le spine possono sparire per lasciar crescere e fruttificare in tutta libertà il grano seminato. Se questi cambiamenti fossero stati impossibili, il Signore non avrebbe seminato. E se in tutti non è avvenuta tale trasformazione, la colpa non è del seminatore, ma di coloro che non hanno voluto cambiar vita. Il seminatore ha compiuto quanto dipendeva da lui; ma se gli uomini non hanno corrisposto alla sua opera, non è responsabile il seminatore che ha testimoniato un così grande amore per gli uomini.
Notate ora, vi prego, che la via della perdizione non è una sola, ma varie e ben differenti e lontane l’una dall’altra. È chiaro che le anime paragonate alla «via» sono i negligenti, i tiepidi, i trascurati.
Coloro invece che sono raffigurati nel «terreno roccioso» sono semplicemente i deboli.
(S.Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 44, 2-3)
Egli uscì: Non si mosse da un luogo a un altro ma con la volontà. Né infatti giunse dove non si trovava prima, né lasciò il luogo da cui era partito: poiché Dio è in ogni luogo eccetto dove non vuole essere. Certamente il seminatore uscì poiché, dove è Dio, lì è coltivata la giustizia, e dove manca la sua giustizia non c’è neanche lui. E coloro che vivono nella sua giustizia sono in lui e coloro che ne sono fuori, sono fuori di lui. Perciò finché fu in cielo, dove tutti sono giusti, egli era dentro: quando invece è venuto nel mondo, che vive va del tutto fuori dalla giustizia di Dio, uscì fuori con lo scopo di portare il mondo dentro. Poiché dunque tutte le genti, in quanto rifiutavano la giustizia di Dio, vivevano sotto il potere del diavolo, uscì, per piantare la giustizia nel mondo dove non era prima a causa dei peccati degli uomini. Uscì colui che semina a seminare. Non gli bastò dire: «Usci a seminare»; ma aggiunge: colui che semina per mostrare che non era nuovo alla semina, né allora stava iniziando questo lavoro per la prima volta; piuttosto come chi ha sempre fatto questo per natura: ha sempre seminato.
Egli stesso infatti, al principio del genere umano, ha seminato ogni genere di scienza. È proprio lui che, tramite Mosè, ha seminato nel popolo i precetti della Legge. Egli che, parlando per bocca dei profeti, non solo ha seminato i rimedi per il presente, ma ha dato anche nozioni per il futuro. Egli uscì, fattosi uomo, e seminò tramite se stesso i precetti divini.
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 31)
Seminare nel terreno
Stava dentro, era in casa, e parlava coi discepoli dei misteri. Esce dunque dalla sua casa il seminatore del verbo di Dio, per seminarlo tra la folla. Questi che semina, il seminatore, è il Figlio di Dio, che semina tra i popoli la parola del Padre.
Osserva che questa è la prima parabola cui Gesù fa seguire la spiegazione.
Dobbiamo quindi guardarci, tutte le volte che il Signore dopo aver parlato spiega su preghiera dei discepoli il significato di quanto ha detto, dal cercar di capire qualcosa d’altro o qualcosa di più o di
meno di quanto egli ha spiegato. Viene il maligno e porta via tutto quello che è stato seminato nel suo cuore. Il maligno rapisce il seme buono. Naturalmente il seme è seminato nel cuore, e la diversità dei terreni in cui esso cade, corrisponde alle diverse condizioni spirituali delle anime dei credenti. E appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della parola, subito si scandalizza. Attenzione alle parole «subito si scandalizza». C’è notevole differenza tra chi viene costretto a rinnegare Cristo dopo molte tribolazioni e torture, e chi, alla prima persecuzione, subito si scandalizza e cade.
(S.Girolamo, Commento al Vangelo di Matteo 2, 13, 3)
E una parte cadde sulla via. Quale via? Il mondo, per il quale passano tutti quelli che nascono: la via, infatti, è il pellegrinaggio, il passaggio di ogni uomo, che viene da Dio e tende a Dio. Per cui il profeta diceva: Poiché sono straniero presso di te, uno straniero come tutti i miei padri (Sal 39, 13). Come il viandante in via non ha alcuna preoccupazione e dispone solo di ciò che è necessario, così l’uomo nel passaggio di questo mondo non si deve preoccupare se non dello stretto necessario.
Qual è perciò la terra lungo la via?
L’uomo che vive secondo questo mondo, il quale conosce ogni cosa del mondo, ma nulla di ciò che è di Dio: ma giorno e notte pensa solo e desidera solo mangiare e bere ed esercitare la lussuria. E da questo nascono tutti i mali.
I demoni, come uccelli, divorano i semi della parola che giacciano sulla pietra.
Dimmi, di chi è la colpa: dei demoni che afferrano i semi, o degli uomini duri, che non la nascondono nei solchi del loro petto? Credo che non sia colpa dei demoni predatori. Il brigante, che sfonda la parete, entra nella parte interna della casa: chi invece trova ciò che è stato gettato fuori, perché mai dovrebbe essere incolpato quasi fosse il ladro? Allo stesso modo anche il diavolo, se entrando nell’intimo del tuo petto portasse via la parola contro il tuo volere, a ragione sarebbe incolpato; invece ora rapina ciò che da te è stato trascurato e disprezzato.
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 31)
Vediamo adesso da una prospettiva approssimativa cosa s’intende per essere sulla via. Ogni strada è in qualche modo aspra e infruttifera per il fatto di essere calpestata dai piedi di tutti e nessun seme
trova in essa la terra per essere coperto.
Giace piuttosto in superfice, pronto a essere portato via dagli uccelli che lo bramano.
Perciò coloro che hanno una mente rigida come sclerotizzata, rinsecchita, questi non accolgono la semina divina, ma diventano come una via calpestata dagli spiriti immondi: sono questi infatti gli uccelli del cielo. Consideriamo che il cielo sia l’aria, in cui gli spiriti della malvagità volteggiano: da loro il seme buono viene devastato e distrutto.
(S.Cirillo di Alessandria, Frammento 168)
Un’altra parte cadde in luogo roccioso
Chi sono quelli sulla pietra? Sono alcuni che hanno in sé la fede senza ricerca, e che non fanno penetrare l’intelletto nell’approfondimento del mistero. Essi nutrono una pietà in Dio evanescente e senza radici. Se soffia vento favorevole ai precetti cristiani, qualora nessuna prova li sconvolga, allora quelli a stento conservano la fede che è in loro; ma se infuria la persecuzione, allora rivelano un animo vile.
(S.Cirillo di Alessandria, Frammento 168)
Una parte cadde sulla pietra. La pietra ha per natura in sé due proprietà, la fortezza e la durezza. Perciò gli uomini sono detti pietra o per la costanza nella fede, o per la durezza del cuore. In proposito il profeta dice: Toglierò da voi il cuore di pietra (Ez 36, 26). Che cosa s’intende per terra? L’intelletto carnale, e non quello razionale, che governa su un’anima dura e fedele. Molti, infatti, secondo natura hanno un intelletto buono, invece non molti posseggono un’anima fedele poiché l’intelletto viene da Dio, mentre l’anima fedele dalla volontà. Perciò ci sono uomini, ai quali se tu avrai
parlato della gloria dei santi e della beatitudine del regno dei cieli, immediatamente gioiscono e provano diletto nell’ascoltarle, dato che essendo sapienti per natura hanno la facilità nel capire la parola.
Ma non credere alla loro gioia: gioiscono e si dilettano solo secondo la carne.
Tu perciò, che non sei disposto a vivere per Dio in qualunque modo, se dovesse accadere una cosa per cui non puoi vivere contento, come potrai sostenere per Dio i dolori del corpo? Non sei neanche contento di dare del tuo in elemosina, in che modo potrai sostenere la perdita delle tue sostanze a causa della fede? Ugualmente ti scandalizzerai, se sopravverranno tormenti e persecuzioni per la parola di Dio.
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 31)
La seduzione delle ricchezze: quello che ha ricevuto il seme fra le spine è colui che ascolta la parola; ma le cure di questo mondo e la seduzione delle ricchezze soffocano la parola, sicché rimane infruttuosa. Mi sembra che le parole che vengono rivolte ad Adamo nel loro significato letterale: tra spine e triboli mangerai il tuo pane, si possano qui interpretare misticamente così: chi si farà schiavo dei piaceri e degli affanni di questo mondo, mangerà tra le spine il pane celeste e il vero cibo. Efficacemente aggiunge che «la seduzione delle ricchezze soffoca la parola». Seducenti sono infatti le ricchezze: una cosa danno e un’altra promettono. Incerto è il loro possesso, e mentre passano da una mano all’altra, gettano nell’incertezza chi le possiede e in maniera eccessiva e incontrollata affluiscono in chi non ne ha. Per questo anche il Signore dichiara che è assai difficile che un ricco entri nel regno dei cieli, poiché le ricchezze soffocano la parola di Dio e snervano il vigore della virtù.
(S.Girolamo, Commento al Vangelo di Matteo 2, 13, 3)
Un’altra parte cadde sulle spine. Prima ti dirò in che modo venga coltivata, affinché tu ben capisca in che modo la parola di Dio seminata in te sia soffocata dai vicini. Tu la coltivi ascoltando assiduamente le Scritture e le tradizioni dei dottori. Grazie a ciò infatti si consolida in te la parola di Dio, cresce, ti soddisfa, poiché così è per ogni cosa come tu credi.
Osserva adesso come il pensiero delle ricchezze non ti permetta di frequentare la chiesa, perché tu possa ascoltare le Scritture e la tradizione dei dottori, e possa nutrire la parola che hai accolto. Anche se tu vieni con il corpo, non vieni con la mente. Anche se ascolti con le orecchie, non ascolti con il cuore. Tutto il tuo animo è rivolto a quelle cose che ti danno pensiero. Il desiderio di ricchezze non ti permette di compiere opere buone. In che modo ti permette di trarre buon frutto dai tuoi beni, dato che ti spinge a prendere quelli degli altri? Similmente se la parola di Dio si trovasse in pericolo, tu per il desiderio di ricchezze o perché temi di perdere ciò che possiedi, o perché brami di acquistare ciò che non hai, non confessi apertamente la verità della tua fede.
Vedi in che modo la preoccupazione e il desiderio di ricchezze soffocano la parola e non le permettono di fruttificare?
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 31)
La terra buona
Quello infine che ha ricevuto il seme in buon terreno è colui che ascolta la parola e la comprende e porta frutto, producendo uno il cento, un altro il sessanta, un altro il trenta. Come, cadendo nella terra cattiva, si ebbero tre condizioni diverse: lungo la via, sulla roccia, tra le spine; così anche per la terra buona si presentano tre diverse possibilità: il cento, il sessanta, o il trenta per uno del frutto. E tanto per la terra cattiva che per la buona il seme è il medesimo; muta solo la volontà: perché il seme è ricevuto tanto dai cuori increduli che dai credenti. Viene il maligno – dice – e porta via tutto quello che è stato seminato nel suo cuore; e nel secondo e nel terzo caso: Questo – dice – è colui che ascolta la parola. E colui che ascolta la parola è menzionato anche nel caso in cui il seme cade nella terra buona. Dapprima dunque dobbiamo ascoltare, poi comprendere, e dopo aver capito la dottrina, dobbiamo portar frutto nella misura del cento, o del sessanta, o del trenta. Sull’interpretazione di queste misure abbiamo più ampiamente parlato nel nostro libro contro Gioviniano, perciò qui riassumiamo brevemente: il cento è il frutto delle vergini, il sessanta è quello delle vedove e dei continenti, e a chi vive un casto matrimonio va il trenta. Onorabili siano le nozze, e immacolato il talamo, dice l’Apostolo. Alcuni di noi attribuiscono ai martiri il cento; ma, se così fosse, il matrimonio verrebbe escluso dal buon frutto.
(S.Girolamo, Commento al Vangelo di Matteo 2, 13, 3)
Come è coltivata la Parola
Un’altra parte sulla terra buona. La terra buona indica coloro che si astengono dalle ricchezze malvagie, e secondo le proprie capacità compiono il bene, il loro frutto è trenta. Se invece non si prendono cura dei loro beni e intraprendono il servizio di Dio, hanno il sessanta. Se ancora l’infermità arriverà nei loro corpi, e la sosterranno fedelmente, avranno il centuplo: ed è questa la terra buona.
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 31)
La naturale disposizione a ricevere da parte dei vari terreni: queste parole, benché assai oscure, manifestano un’ineffabile giustizia. È come se Gesù dicesse: Se qualcuno ha desiderio e fervore, gli sarà dato anche tutto quello che dipende da Dio. Ma se costui è privo di aspirazioni e di ardore e non
mette in atto ciò che potrebbe con le sue forze personali, non gli verrà dato neppure quello che dipende da Dio. E, infatti, aggiunge Cristo: Anche ciò che crede di avere gli sarà tolto: non perché di fatto Dio glielo tolga, ma perché non lo riterrà degno dei suoi doni. Anche noi ci comportiamo in questo modo. Se ci accorgiamo che qualcuno ci ascolta con noncuranza e se, avendogli più volte chiesto di prestare attenzione, non riusciamo a ottenerla, allora stiamo zitti, perché insistendo a parlare noi aumenteremmo la sua negligenza. Quando invece vediamo un uomo desideroso di apprendere, noi lo incoraggiamo e versiamo nella sua anima molte verità.
(S.Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Matteo 44, 4-5)
Colui che ha il trenta, cioè non fa male, ma quanto può benefica (questo è infatti il trenta), non può avere assolutamente il sessanta, perché non è capace di disprezzare completamente tutti i suoi beni, digiunare tutti i giorni, vivere in castità, sopportare ingiurie corporali. Questo è il sessanta. Perciò il Signore agli apostoli, che potevano il sessanta, così parla: Vendete quello che avete e datelo in elemosina (Lc 12, 33). A coloro poi che non potevano dare il sessanta adatta il trenta, dicendo: Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende del tuo, non richiederlo (Lc 6, 30). Ugualmente colui che può sessanta, non può cento. Quanti sono coloro che possono separarsi dai propri beni, e sopportare la perdita delle loro cose, che possono vivere castamente e soffrire ingiurie corporali, eppure non hanno il coraggio di sopportare il cento?
(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 31)