NT/ Dicembre 15, 2022/ Raccolte, Vangelo, Padri Chiesa, Commenti Bibbia, Meditazioni, Riflessioni, Sacra Scrittura, Padri, Domenica

Nei vari avvenimenti della storia si possono e si devono cogliere i segni attraverso i quali Dio opera e ci parla.

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LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura (7,10-14)

Acaz vuol confidare nell’aiuto di forze umane per conservare la dinastia. Sarà la sua rovina. Ogni costruzione semplicemente umana non ha consistenza. La profezia di Isaia sulla nascita verginale dell’Emmanuelle mostra come i disegni di Dio, se si servono degli eventi storici, ne sono al di sopra e non dipendono dalla loro contingenza. Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio.

Dal libro del profeta Isaìa
In quei giorni, il Signore parlò ancora ad Àcaz: «Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall’alto».
Ma Àcaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore».
Allora Isaìa disse: «Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta stancare gli uomini, perché ora vogliate stancare anche il mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele».

La Vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele: Dio con-noi (Is 7,14).

Salmo Responsoriale Dal Sal 23 (24)

Ecco, viene il Signore, re della gloria.

Del Signore è la terra e quanto contiene:
il mondo, con i suoi abitanti.
È lui che l’ha fondato sui mari
e sui fiumi l’ha stabilito. R.

Chi potrà salire il monte del Signore?
Chi potrà stare nel suo luogo santo?
Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non si rivolge agli idoli. R.

Egli otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe. R.

Seconda Lettura (Rm 1,1-7)

Nato secondo la carne dalla stirpe davidica, il Cristo è presentato da S.Paolo, nella potenza della sua risurrezione, come Figlio di Dio. La sua morte poteva apparire come il crollo del Regno che egli era venuto a fondare. La sua resurrezione lo fonda nel cuore degli uomini, attraverso la fede nella sua divinità.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

VANGELO

L’eroica rinuncia da parte di Giuseppe ai suoi diritti su Maria e in certo qual senso anche su Gesù, fa di lui il custode della Maternità divina e verginale di Maria e della divinità del Cristo, dando a tutti e due un «passaporto» valido al loro legittimo inserimento e libera circolazione nella società e nella storia. Perciò Giuseppe non è solo il padre putativo-legale di Gesù, ma spiritualmente è anche il padre di tutti i grandi e piccoli santi dell’epopea cristiana: gli eroi della fede e dell’obbedienza.

Dal Vangelo secondo Matteo (1,18-24)
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

ORIENTAMENTI PER LA PREGHIERA

Come, allora, è stato generato il Figlio? La generazione del Figlio non sarebbe una gran cosa, se fosse comprensibile da te, che non comprendi neanche la tua, o l’hai compresa solo in parte, e in misura che ti vergogni ad ammettere. E poi, credi di conoscere tutto? Dovresti molto faticare prima di trovare le spiegazioni di come sei stato concepito, come hai preso forma e come hai visto la luce; di come l’anima è stata unita al corpo, l’intelletto all’anima, la parola all’intelletto; prima di spiegarti il movimento, la crescita, l’assimilazione del nutrimento, la sensazione, il ricordo, la reminiscenza, e tutte le altre cose dalle quali sei costituito, e prima di capire anche quali di queste funzioni appartengono al complesso dell’anima e del corpo, quali, invece, sono separate, e quali interferiscono reciprocamente. Infatti, l’essenza delle cose che ricevono il loro compimento in un secondo tempo è nella generazione. Sai qual è questa essenza? Neanche in questo caso devi discutere della generazione di Dio; ma se non conosci neanche la tua, allora come puoi conoscere quella di Dio? Infatti, quanto Dio è più impenetrabile dell’uomo, tanto la generazione celeste è più incomprensibile della tua. Se non è stato generato perché tu non ne hai comprensione, per te, allora, è tempo di eliminare molte cose che esistono e che tu, pure, non hai compreso, e prima di tutto lo stesso Dio: infatti, tu non puoi dire ciò che è, anche se sei fin troppo sfrontato, e mostri grande passione per le cose inutili. Rigetta quelle tue emanazioni, e le separazioni, e i troncamenti, e quella consuetudine di riflettere sulla natura incorporea in termini di natura corporea: allora, forse, potrai concepire qualche degno pensiero sulla generazione di Dio. Come è stato generato? Voglio di nuovo gridare indignato: la generazione di Dio riceva l’onore del silenzio! Grande cosa è per te sapere che è stato generato. Ma il modo in cui è stato generato non dobbiamo concederlo neanche agli angeli di concepirlo, tanto meno a te di immaginarlo! Tu vuoi che sia io a spiegarti come? Nel modo che sa il Padre che ha generato, e il Figlio che è stato generato (cf. Lc 10,22), ciò che si trova oltre è celato da una nube (cf. Es, 14,20) e, quindi, si sottrae alla tua debole vista. Noi, infatti, facendoci forti delle parole grandi e sublimi, abbiamo compreso la divinità del Figlio e l’abbiamo proclamata. Ma di quali parole si tratta? La parola di Dio, del Logos. Colui che è nel principio, con il principio, il principio: “In principio era il Logos e il Logos era presso Dio, il Logos era Dio (Gv 1,1) ”, e “Con te è il principio (Sal 109,3)”, e “Colui che lo chiama principio a partire dalle generazioni (Is 41,4)”. Poiché il Figlio è unigenito: “Il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre: quello ce lo ha fatto conoscere (Gv 1,18)”. Via, verità, vita, luce: “Io sono la via, la verità, la vita (Gv 14,6)”, e: “Io sono la luce del mondo (Gv 8,12)”. Sapienza, potenza: “Cristo è potenza di Dio, e sapienza di Dio (1 Cor 1,24)”. Irradiazione, impronta, immagine, sigillo: “Colui che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza (Eb 1,3)”, e: “Immagine della sua bontà ( Sap 7,26)”, e: “Su di lui ha impresso il suo sigillo (Gv 6,27)”. Signore, re, colui che è, l’onnipotente: “Il Signore ha fatto piovere fuoco dal Signore (Gen 19,24)”, e: “Scettro di rettitudine è lo scettro del tuo regno (Sal 44,6)”, e: “Colui che è, colui che era, e colui che viene”, e: “L’onnipotente (Ap 1,8)”. Tutte queste parole sono chiaramente dette a proposito del Figlio, e hanno lo stesso valore tutte quante: di esse non ce n’è alcuna che sia stata acquisita, né che sia stata aggiunta in un secondo tempo al Figlio, o allo Spirito, come neppure al Padre. Infatti, la perfezione non scaturisce da un’aggiunta. Non c’è stato un tempo in cui il Padre fu senza Logos, né in cui non fu Padre, né in cui non fu vero, oppure senza sapienza o senza potenza, oppure mancante di vita o di splendore o di bontà.

 (S. Gregorio Nazianzeno, Terza Orazione, Il Figlio n° 8; 17)

Mi sia concesso di guardare la tua luce, anche da lontano, anche dal profondo. Insegnami a cercarti, e mostrati a me che ti cerco; poiché non ti potrei neppure cercare se tu non me lo insegnassi, né potrei trovarti se tu non ti mostrassi. Che io ti cerchi col mio desiderio, ti desideri con la mia ricerca, ti trovi col mio amore, e ti ami col mio trovarti. Riconosco, o Signore, e te ne ringrazio, che hai creato in me questa tua immagine, affinché, memore, ti pensi e ti ami. Ma l’immagine è così cancellata dall’attrito dei vizi, e così offuscata dal fumo dei peccati, che non può fare ciò che dovrebbe, se tu non la rinnovi e la riformi. Non tento, o Signore, di penetrare la tua profondità, poiché non posso neppur da lontano paragonarle il mio intelletto; ma desidero intendere almeno fino a un certo punto la tua verità, che il mio cuore crede e ama. Non cerco infatti di capire per credere, ma credo per capire. Poiché credo anche questo: che «se non avrò creduto non potrò capire» (Is 7,9). Dunque, o Signore, che dai l’intelligenza della fede, concedimi di capire, per quanto sai che possa giovarmi, che tu esisti, come crediamo, e sei quello che crediamo. Ora noi crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi più grande. O forse non esiste una tale natura, poiché («lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste» (Sal 13,1; 52,1)? Ma certo quel medesimo stolto, quando ode ciò che dico, e cioè la frase «qualcosa di cui nulla può pensarsi più grande», intende quello che ode; e ciò che egli intende è nel suo intelletto, anche se egli non intende che quella cosa esista. Altro infatti è che una cosa sia nell’intelletto, altro è intendere che la cosa sia. Infatti, quando il pittore si rappresenta ciò che dovrà dipingere, ha nell’intelletto l’opera sua, ma non intende ancora che esista quell’opera che egli ancora non ha fatto. Quando invece l’ha già dipinta, non solo l’ha nell’intelletto, ma intende pure che l’opera fatta esiste. Anche lo stolto, dunque, deve convincersi che vi è almeno nell’intelletto una cosa della quale nulla grande, poiché egli intende questa frase quando la ode, e tutto ciò che si intende è nell’intelletto. Ma certamente ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo nell’intelletto. Infatti, se esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche nella realtà, e questo sarebbe più grande. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell’intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio qualche cosa di cui non si può pensare il maggiore e nell’intelletto e nella realtà.

(S. Anselmo d’Aosta, Proslogio  1-2)

 

Quando dunque san Giuseppe era sul punto di mandarla via segretamente, poiché era ancora all’ oscuro di un così grande mistero, mediante una visione di un angelo si sentì dire: Giuseppe, figlio di David, non temere di· prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Perciò san Giuseppe viene messo al corrente del mistero celeste, perché non avesse a pensare sul conto della verginità di Maria in modo diverso da quel che era in realtà. Sarebbe stato empio che un giusto qual era Giuseppe, potesse sbagliarsi sul conto di una verginità tanto eccelsa. Viene perciò reso conscio del segreto al fine di rimuovere qualsiasi errato sospetto, e per essere reso partecipe del bene che deriva dal sacramento. E questa la ragione per cui gli fu detto: Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei” viene dallo Spirito Santo, di modo che Giuseppe potesse conoscere sia l’integrità-verginale di Maria che l’origine divina del parto. Un sì grande mistero non poteva venire rivelato ad altro uomo che non fosse Giuseppe, perché lui era a diritto ritenuto sposo di Maria, lui che nel nome stesso escludeva qualsiasi ombra di peccato. Tradotto dall’ebraico, difatti, Giuseppe significa «senza obbrobrio ». Ma anche in questo caso si deve vedere un mistero: all’inizio dei tempi il diavolo rivolse prima la parola ad Eva, poi all’uomo, così da iniettare in loro il seme di morte. Nel nostro caso, invece, l’angelo santo prima parla a Maria, poi a Giuseppe, per rivelare loro il Verbo della vita. Nel primo caso la donna venne scelta per scatenare nel mondo il peccato; qui Maria viene innanzitutto scelta per offrire il dono della salvezza. Nel primo caso, l’uomo è caduto per colpa della donna; nel secondo caso, l’uomo risorge per merito di una vergine. Così si comprende ora perché l’angelo abbia detto a Giuseppe: Giuseppe, figlio di David, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, poiché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. E aggiunge: Essa partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù. Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Ma questo nome del Signore, con il quale viene chiamato Gesù fin dal seno materno, non è per lui nuovo, ma antico. Tradotto dall’ ebraico, Gesù vuol dire «salvatore». È certo un nome che si adatta a pennello a Dio, proprio lui che così disse per mezzo del profeta: Al dì fuori di me non c’è né persona giusta né un salvatore. Del resto, quando il Signore stesso vuole parlare della sua origine mediante nascita corporale, è così che si esprime per bocca del profeta Isaia: Il Signore mi ha chiamato per nome fin dal seno di mia madre. Dice: con il mio nome, non con un altro, perché il nome Gesù gli compete in quanto Verbo incarnato; Gesù vale Salvatore, perché salvatore poteva esserlo solo in quanto Dio. È per questo che abbiamo detto che salvatore è bene tradotto con Gesù. È quanto viene appunto confermato dalla citazione di Isaia: Il Signore mi ha chiamato per nome fin dal seno di mia madre. Ma, per farci meglio conoscere il sacramento della sua incarnazione, nello stesso profeta aggiunge: Ha reso la mia bocca come una spada affilata, mi ha reso freccia scelta, mi ha riposto nella sua faretra. Nella freccia si deve vedere la sua divinità, e nella faretra si deve intendere il corpo che egli ha assunto da una vergine, corpo che nasconde, quasi come con una nube, la divinità.

(Cromazio di Aquileia, Commento al Vangelo di Matteo 2, 3-4)

Il sogno di Giuseppe; mosaico del soffitto del Battistero di San Giovanni a Firenze

Mentre stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse (…) L’ascolto delle parole di Maria e la riflessione sulla sua vita non permettevano a Giuseppe di pensare male di lei; d’altro canto il pensiero rivolto alla sua concezione non gli permetteva neanche di pensare in maniera completamente positiva nei suoi riguardi e così il suo animo ondeggiava da entrambe le parti, e aveva paura di trattenerla ma non osava consegnarla. Perciò gli fu necessaria la rivelazione divina. Se infatti Maria stessa, che pure aveva visto l’angelo e lo aveva udito che le parlava tanto della sua concezione quanto di quella di Elisabetta, salì al monte per vedere Elisabetta e solo vedendola ne ebbe assicurazione, quanto più Giuseppe, dopo le parole riguardo la concezione di Maria e l’esame della vita di lei, ancora esitante aveva bisogno della rivelazione divina? L’angelo gli apparve per tre ragioni. In primo luogo perché un uomo giusto ma nell’ignoranza non compisse un’azione ingiusta partendo da un giusto proposito; poi per l’onore della madre stessa: se infatti fosse stata lasciata andare, se pure non tra i fedeli, tuttavia tra gli infedeli non avrebbe potuto essere esente da un vergognoso sospetto. In terzo luogo, affinché Giuseppe, comprendendo la santa concezione, si comportasse con quella con più zelo di prima. In precedenza era stato in guardia per rispetto della giustizia poi per il timore di un parto siffatto. Perché l’angelo non giunse da Giuseppe prima della concezione della vergine? Affinché non pensasse ciò che aveva pensato né soffrisse ciò che aveva sofferto Zaccaria che incorse nella colpa di mancanza di fede riguardo alla possibilità di concepire della moglie ormai avanti negli anni. Era certo più incredibile che una vergine potesse concepire piuttosto che una donna anziana. Se egli che era sacerdote non credette che sarebbe avvenuta una cosa assai più facile, quanto più codesto uomo del popolo non avrebbe dovuto credere che fosse avvenuta una cosa ben più difficile? E partorirà un figlio e lo chiamerai Gesù. Non disse: «Ti partorirà un figlio», così come a Zaccaria: Ecco tua moglie Elisabetta concepirà e ti partorirà un figlio (Lc 1, 13). La donna che concepisce per mezzo di un uomo, partorisce il figlio a suo marito: il figlio proviene più da lui che da lei: questa donna che invece non aveva concepito per mezzo di un uomo, non partorì il figlio per lui ma per sé soltanto. Nota quanta somiglianza ci sia nel complesso con la vicenda di Adamo. Allora la donna, gustando il frutto dell’albero da sola, fu sedotta e generò la morte; Adamo non prese parte alla sua seduzione: non peccò sedotto dal diavolo ma perché fu d’accordo con la moglie. Allo stesso modo ora Maria, ricevendo il dono dallo Spirito Santo, sola credette e disse: Ecco, d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata (Lc 1, 48). Invece Giuseppe allora non partecipò in nulla alla fede nella concezione ma in seguito soltanto col silenzio ed il consenso fu salvato. Per questo un angelo si presentò a lui in sogno, non alla luce del giorno: affinché, come Dio aveva creato la donna mentre Adamo dormiva, così a Giuseppe che dormiva, per grazia divina garantì la moglie. L’evangelista spiega il significato del termine ebraico Gesù con le parole: Egli salverà il suo popolo dai peccati. Se pertanto un medico, che non ha alcuna capacità di salvare gli uomini, per il solo fatto di preparare le erbe medicinali non arrossisce di essere chiamato medico, non è chiamato più degnamente Salvatore costui per mezzo del quale tutto il mondo è stato salvato?

(Anonimo, Opera incompleta su Matteo, omelia 1)

Ma in qual modo l’angelo lo convince? Ascoltate e ammirate con quale saggezza gli parla: Giuseppe, figlio di David – gli dice – non temere di prendere con te Maria, tua sposa. L’angelo menziona prima di tutto David, da cui il Messia doveva nascere; e così calma di colpo tutti i suoi timori, facendogli tornare alla mente, citando il nome di uno dei suoi antenati, la promessa che Dio aveva fatto a tutto il popolo giudeo. Non solo, ma spiega perché lo chiama «figlio di David», con l’aggiungere le parole «non temere». Non si comporta così Dio in un’altra occasione che le Scritture ci tramandano. Quando Abimelec cominciò a nutrire pensieri non leciti nei confronti della sposa di Abramo, Dio gli parlò in modo terribile e pieno di minacce; sebbene egli avesse agito per ignoranza, in quanto non sapeva che Sara era la sposa di Abramo. Dio, invece, parla qui con ben maggiore dolcezza; ma quale differenza tra le due circostanze, tra la disposizione d’animo di Giuseppe e quella di Abimelec! In verità il comportamento di Giuseppe non meritava alcun rimprovero. E queste parole, «non temere», indicano che Giuseppe temeva di offendere Dio tenendo presso di sé un’adultera; ma che, se non fosse stato per questo, non avrebbe mai pensato a separarsene. Ripeto, parlando a Giuseppe dei suoi più segreti pensieri, dei sentimenti più intimi, l’angelo vuol provare, e lo prova a sufficienza, che egli viene da parte di Dio. Ma dopo aver pronunciato il nome della Vergine, perché aggiunge «tua sposa»? Dice così per giustificare la  Vergine con questa parola, in quanto non si darebbe mai questo titolo ad una adultera. Il termine «sposa», come sapete, sta qui per fidanzata: la Scrittura, infatti, chiama anche «generi» coloro che sono soltanto alla vigilia di divenirlo. Che significano queste parole «prendere Maria»? Nient’altro che Giuseppe continui a tenere Maria nella sua casa, dato che aveva pensato di separarsene. Tieni, dice l’angelo in sostanza, la tua sposa che avevi deciso di lasciare, poiché è Dio che te la dà, non i suoi genitori. Te la dona, non per i soliti scopi del matrimonio, ma soltanto perché dimori con te, e la unisce a te per mezzo di me stesso che ti parlo. Ella è affidata ora a Giuseppe, come più tardi Cristo la affiderà al suo discepolo. Sempre per la stessa ragione l’angelo giunge dal cielo a portare a Giuseppe il nome che egli dovrà imporre al bambino; si mostra così quanto straordinario sarà il nascituro, per il fatto che è Dio stesso a mandare a Giuseppe dall’alto, attraverso l’angelo, il nome. E quel nome non è un nome qualsiasi, ma è come un tesoro che contiene infiniti beni. E per questo l’angelo interpreta quel nome, allo scopo di incitare Giuseppe alla fede, con la speranza dei beni che il nome promette. L’uomo, infatti, è naturalmente inclinato verso ciò che gli piace, e crede più facilmente a ciò che desidera. L’angelo, dunque, dopo essersi servito, per persuadere Giuseppe, del presente, del passato e dell’avvenire senza tacere la gloria che avrà questo fanciullo, documenta alla fine tutto quanto ha detto con la testimonianza dei profeti. Ma fa precedere tale testimonianza dall’annunzio dei grandi beni che questa nascita deve portare al mondo. Quali sono questi grandi beni? Essi consistono nella nostra liberazione dal peccato e nella distruzione di esso. Poiché è lui – dice l’angelo – che salverà il suo popolo dai suoi peccati. E con queste parole indica un fatto del tutto straordinario. Egli non annuncia la fine di guerre materiali e l’annientamento di nemici visibili, ma qualcosa di ben più grande: la liberazione dal peccato, ciò che nessuno mai, sino allora, aveva potuto fare. Ma – voi direte – perché fa questa promessa al «suo popolo»? Significa forse che non estende la grazia a tutti i popoli? Egli così si esprime per non suscitare in Giuseppe una troppo forte sorpresa: del resto questo termine, se lo si considera con cura, comprende sicuramente tutti i popoli della terra. Non sono, infatti, soltanto i giudei il popolo di Gesù Cristo: lo sono tutti coloro che vengono a lui, che riconoscono il suo nome e accolgono la sua dottrina. Osservate ancora il modo in cui l’angelo ci manifesta la dignità e la grandezza di Gesù Cristo, chiamando «suo popolo» il popolo giudaico. Questo significa dire esplicitamente che colui che è stato concepito non sarà un re terreno, ma il re del cielo, il Figlio di Dio, poiché solo Dio, e nessun’altra forza, ha il potere di rimettere i peccati. Dato, quindi, che Dio ci ricolma di una tale grazia, cerchiamo di vivere in modo da non disonorare un simile dono. Se, infatti, prima di ricevere un favore così ineffabile, quello che facevamo era degno di punizione, molto più meriteremo di essere puniti dopo aver ricevuto tale beneficio.

(Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 4, 6)

È per rendere accettabile la rivelazione di questo miracolo che l’angelo si appella, quindi, a Isaia. Non si ferma, però, qui, ma ricollega la rivelazione a Dio stesso. Egli non dice infatti che tutto ciò è accaduto per adempiere quanto ha detto Isaia, ma dice che tutto ciò avvenne affinché si adempisse quanto era stato detto dal Signore per mezzo del profeta. La bocca era, sì, di Isaia, ma la profezia veniva dall’alto, da Dio. Che cosa diceva, dunque, questa profezia? Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio e lo chiameranno Emmanuele, che vuol dire “Dio con noi”. Perché – mi domanderete – non gli è stato dato il nome di Emmanuele, ma quello di Gesù Cristo? La ragione sta nel fatto che l’angelo non dice: lo chiamerai, ma «lo chiameranno Emmanuele», cioè i popoli e la stessa realtà degli avvenimenti gli daranno quel nome. Qui è il fatto stesso che ·si realizza ad imporre il nome; ed è questo un uso della Scrittura: i fatti che accadono acquistano valore di nome e vengono dati come tali. Quando l’ angelo dice «lo chiameranno Emmanuele» è come se dicesse: essi vedranno Dio fra gli uomini. Infatti, sebbene Dio fosse sempre stato con gli uomini, tuttavia non fu mai tra loro in modo così visibile e sensibile, come accadde dopo l’incarnazione.

(Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo 5, 2-3)

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Uno è il Signore che nel Verbo e nella Sapienza tutto ha creato e disposto. Questo è il Verbo di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo, che nella pienezza dei tempi si è fatto uomo tra gli uomini per unire la fine con il loro principio, cioè l’uomo a Dio. Ecco perché i profeti, dotati dal Verbo stesso del loro carisma, hanno preannunziato l’incarnazione di colui che avrebbe operato la comunione perfetta fra Dio e l’uomo secondo il piano eterno di amore del Padre. Fin dall’inizio della storia il Verbo aveva annunziato che gli uomini avrebbero visto Dio e che Dio avrebbe vissuto insieme ad essi nel mondo, e avrebbe parlato con loro e sarebbe stato accanto all’uomo da lui creato per salvarlo, per lasciarsi raggiungere da lui, per liberarlo dalle mani dei suoi persecutori (cf. Lc 1, 71), cioè dagli spiriti di corruzione e di peccato. Dio avrebbe fatto sì che noi potessimo servirlo in santità e giustizia per tutti i nostri giorni (cf. Lc 1,74-75). Così l’uomo, unito allo Spirito di Dio, sarebbe entrato nella gloria del Padre. I profeti annunziarono in anticipo che Dio sarebbe stato visto dagli uomini, conformemente alle parole del Signore: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8). Certo nella realtà della sua grandezza e della sua gloria ineffabile nessuno potrà vedere Dio e vivere (cf. Es 33, 20). Il Padre infatti è inaccessibile. Ma nel suo amore, nella sua bontà e nella sua potenza è giunto fino a concedere a coloro che lo amano il privilegio di poterlo vedere. Ed è proprio questo che annunziavano i profeti, poiché “ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio” (Lc 18, 27). L’uomo infatti con le sue sole forze non può vedere Dio. Ma se Dio lo vuole, nell’abisso della sua volontà, si lascia vedere da chi vuole, quando vuole e come vuole. Dio ha potere su tutti e su ogni cosa. Si rese un tempo accessibile in visione profetica per mezzo del suo Spirito, si lascia vedere ora mediante il suo Figlio, dando l’adozione a figli. Sarà visto, infine, nel regno dei cieli nella pienezza della sua paternità. Lo Spirito infatti prepara gli uomini nel Figlio. Il Figlio li conduce al Padre. Il Padre dona l’incorruttibilità e la vita eterna che derivano dalla visione di Dio per coloro che lo vedono. Come coloro che vedono la luce sono nella luce, e partecipano al suo splendore e ne colgono la chiarezza, così coloro che vedono Dio, sono in Dio e ricevono il suo splendore. Lo splendore di Dio dona la vita: la ricevono coloro che vedono Dio.

“Quelli che vedono Dio parteciperanno alla vita, perché lo splendore di Dio è vivificante. Per questo colui che è inafferrabile, incomprensibile e invisibile si offre alla visione, alla comprensione e al possesso degli uomini, per vivificare coloro che lo comprendono e lo vedono. Infatti la sua grandezza è imperscrutabile, e la sua bontà inesprimibile; ma attraverso di esse egli si mostra e dà la vita a quelli che lo vedono. È impossibile vivere senza la vita, e la vita consiste essenzialmente nel partecipare a Dio, partecipazione che significa vedere Dio e godere della sua bontà. Gli uomini dunque vedranno Dio e così vivranno: questa visione li renderà immortali e capaci di Dio. Questo è ciò che era stato rivelato in figura dai profeti: Dio può essere visto dagli uomini che portano il suo Spirito e aspettano senza stancarsi la sua venuta. Così dice infatti Mosè nel Deuteronomio: In quel giorno vedremo, perché Dio parlerà all’uomo e questi vivrà (Dt 5,24). Colui che opera in tutti, quanto alla sua potenza e grandezza, resta invisibile e inesprimibile per tutti gli esseri creati da lui; e tuttavia non è loro completamente sconosciuto, perché tutti arrivano, attraverso il suo Verbo, alla conoscenza dell’unico Dio Padre, che contiene tutte le cose e a tutte dà l’esistenza, come dice anche il Vangelo: Dio nessuno l’ha mai veduto; il Dio unigenito che è nel seno del Padre, egli lo ha rivelato (Gv 1,18). Fin dal principio dunque il Figlio è il rivelatore del Padre, perché fin dal principio è col Padre: le visioni profetiche, la diversità dei carismi, i suoi ministeri, la glorificazione del Padre, tutto egli, nel tempo opportuno, ha fuso in melodia ben composta e armoniosa per l’utilità degli uomini. Dove infatti c’è composizione, c’è armonia; dove c’è armonia, c’è esatta misura di tempo, e dove c’è tempo opportuno, c’è utilità. Per questo il Verbo si è fatto dispensatore della grazia del Padre per l’utilità degli uomini, in vista dei quali ha compiuto tutta l’economia della salvezza, mostrando Dio agli uomini e collocando l’uomo a fianco di Dio; salvaguardando l’invisibilità del Padre perché l’uomo non arrivasse a disprezzare Dio e avesse sempre qualcosa da raggiungere, e nello stesso tempo rendendo Dio visibile agli uomini con l’insieme della sua economia, per impedire che l’uomo, privato totalmente di Dio, cessasse addirittura di esistere. Infatti la gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione dà la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio!

(S. Ireneo di Lione, contro le eresie, IV, 20, 4-7)

La tua volontà arriva a me come l’onda del mare.

Sei sceso giù perché la tua gloria è stare con me;

altrimenti in me, o Dio dei tre mondi, il tuo amore sarebbe menzogna.

Per me fai festa nella natura, nel mio cuore fai scherzi gustosi;

la tua volontà arriva a me come l’onda del mare.

Re dei re, vieni nel mio cuore vestito da amante.

O Signore, tu eternamente vegli:

il tuo amore è sceso nell’amore del fedele

e nell’unione è apparso il tuo Volto.

 (R.Tagore, Ghitangioli)

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Per svolgere questo compito (dell’evangelizzazione), è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche (…)

Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio.

(C.V. II, Gaudium et Spes, n° 4; 11)

Questo discernimento dei valori evangelici, impegnati nella storia economica, sociale, politica e culturale dell’umanità è, senza dubbio, l’operazione più delicata dei carismi: essa è proprio del profeta (…) Per condurla felicemente al termine occorre che egli sia contemporaneamente presente nella storia e come immerso in essa (…), e faccia nella storia stessa il riferimento trascendentale alla parola tutta gratuita di Dio, tanto nella creazione che nella redenzione. Così saranno riconosciuti i «segni», senza detrimento per la realtà terrestre, della storia, per quanto ambigua, che questa epifania del disegno divino certamente non distrugge.

(M.D. Chenu, Oggi un popolo profetico)

 

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