NT/ Febbraio 2, 2022/ Vangelo, Padri Chiesa, Raccolte, Sacra Scrittura, Padri

Simeone disse:“Luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.

San Simeone: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo, Israele». 

«Nunc dimittis servum tuum, Domine,
secundum verbum tuum in pace:
Quia viderunt oculi mei salutare tuum
Quod parasti ante faciem omnium populorum
Lumen ad revelationem gentium,
et gloriam plebis tuae Israel».

Giotto – Source: Cappella Scrovegni a Padova

Il Nunc dimittis, la bellissima preghiera che Simeone rivolge a Dio nel contesto della Presentazione di Gesù al Tempio, è anche chiamato Cantico di Simeone e viene recitato o cantato tutti i giorni nella Compieta.

Il Vangelo mette il Nunc dimittis sulle labbra del vecchio Simeone che aveva ricevuto dallo Spirito la promessa di sopravvivere fino alla venuta del Messia, mosso dallo stesso Spirito entra nel Tempio, prende tra le braccia il Bambino Gesù e loda Dio, chiede poi congedo a Dio perché ha potuto vedere il Cristo esprimendo la sua gioia (Lc 2,29-30) e predicendo la gloria del Salvatore.

VANGELO

Il brano evangelico fa della festa odierna, il giorno dell’«incontro con il Signore». Un giorno in cui Egli si manifesta. Come i santi vegliardi Simeone ed Anna, pieni di gioia gli resero testimonianza, andiamo anche noi incontro al Cristo. Lo troveremo riconoscendolo allo spezzare del pane, nascosto nel fratello e gli testimonieremo il nostro amore con una vera comunione di vita.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,22-40)

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore –  come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada
in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

+++

Simeone si recò nel tempio mosso dallo Spirito Santo, poichè tutti quelli che sono mossi dallo Spirito Santo divino sono suoi figli. Lo Spirito Santo lo condusse nel tempio, anche tu se vuoi tenere Gesù, stringerlo tra le tue braccia e meritare di uscire di prigione, fa tutti gli sforzi per lasciarti guidare dallo Spirito e venire al tempio di Dio. Adesso sei nel tempio del Signore Gesù, la sua chiesa, il tempio costruito con pietre vive. Tu sei nel tempio del Signore quando la tua vita e la tua condotta sono veramente degni del nome che indica la chiesa. Se sei venuto al tempio con la mente, troverai il bambino Gesù, lo alzerai con le tue braccia e dirai: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola».

(Origene, su S.Luca)

Il 2 febbraio, 40 giorni dopo il Natale, cade la festa conosciuta con il nome popolare di “Candelora”, con la quale si celebrano due episodi evangelici, due atti devozionali compiuti dalla Sacra Famiglia nel Tempio di Gerusalemme quattro decadi dopo la nascita di Cristo per rispetto della legge mosaica: la Presentazione di Gesù al sacerdote e la Purificazione rituale della puerpera Maria. Cosa significa questa parola in relazione a questi racconti sacri?
La parola “Candelora”, diffusa con alcune varianti in tutta Italia, deriva da “candela” e allude al fatto che in occasione di questa festa il popolo riceve in chiesa ceri benedetti, che vengono accesi e trasportati fuori in processione per poi essere conservati nelle case. Le fiammelle di quelle candele hanno un significato simbolico correlato alla Presentazione di Gesù al Tempio, raccontato nel Vangelo di Luca (2,22-39) e in particolare alle parole dell’anziano sacerdote Simeone quando riconobbe nel Bambino il salvatore: “luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. L’idea di Cristo come “luce” ricorre anche all’inizio del Vangelo di Giovanni “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (1, 4-5). È questo concetto della “luce” della salvezza cristiana quello simboleggiato dalla cerimonia delle candele accese: come l’anziano Simeone fu il primo a “riconoscerla” nel Tempio, così nelle chiese erano i sacerdoti a consegnare ai fedeli quelle luci, che poi le diffondevano a illuminare ogni famiglia e ogni angolo della città.
Ma nella sua forma rituale la festa ha origini più antiche: essa è in parte la trasposizione delle cerimonie rituali pagane dette “Lupercali”, che similmente si svolgevano a metà febbraio con grandi fiaccolate e, secondo altri, anche della festa popolare ebraica del “Lucernario”, anch’essa celebrata con l’accensione di torce e lampade:

Chanukkà nel calendario autunnale è preceduta da circa due mesi in cui non c’è alcuna ricorrenza, a parte il sabato e i capomese. Probabilmente anche per questo l’atmosfera è particolarmente allegra e i bambini la aspettano con ansia.

La festa di Chanukkà, tra tutte le antiche ricorrenze ebraiche, è l’unica che non affondi in qualche modo le sue radici nella Bibbia e nei suoi racconti; è una festa stabilita dai Maestri del Talmud e ricorda un avvenimento accaduto in terra di Israele, nel 168 a.e.v.

Antioco Epifane di Siria – ottavo re della dinastia seleucide, erede di una piccola parte dell’Impero appartenuto ad Alessandro Magno – voleva imporre la religione greca alla Giudea. Le mire di ellenizzazione furono contrastate e impedite da Mattatià, un sacerdote di Modiin della famiglia degli Asmonei che insieme ai suoi sette figli, diedero avvio alla rivolta.

Chanukkà è conosciuta anche come la festa del miracolo dell’olio: quando dopo una strenua battaglia, il 25 di Kislev di tre anni dopo (165 a.e.v.), il Tempio fu riconquistato, si doveva procedere alla riconsacrazione. Nel Tempio però fu trovata una sola ampolla di olio puro recante il sigillo del Sommo Sacerdote. Per la preparazione di olio puro (viene considerato olio puro quello raccolto dalle prime gocce della spremitura delle olive) occorrevano otto giorni. Nel trattato talmudico di Shabbat (21b) leggiamo del grande miracolo che occorse: l’olio che poteva bastare per un solo giorno, fu sufficiente per otto giorni, dando così la possibilità ai Sacerdoti di prepararne dell’altro nuovo. In ricordo di quel miracolo, i Saggi del Talmud istituirono una festa di lode e di ringraziamento al Signore che dura appunto 8 giorni: Chanukkà che letteralmente, significa “inaugurazione”.

La prima sera della festa si accende un lume su un candelabro speciale a nove bracci, e ogni sera, per otto giorni, se ne aggiunge uno in più, fino a che l’ottava sera si accendono 8 lumi. Questo candelabro si chiama Chanukkià e può avere diverse forme. L’indicazione è che gli otto contenitori per le candele siano tutti allineati alla stessa altezza e che il nono – lo shammash, il servitore, quello che serve per accendere gli altri lumi – sia in una posizione diversa.
I bambini ricevono regali e in particolare delle trottoline su cui compaiono le iniziali delle parole “Un grande miracolo è avvenuto lì”.

Uno dei precetti relativi alla festa è quello di “rendere pubblico il miracolo”, per questo si usa accendere i lumi al tramonto o più tardi, quando c’è ancora gente nelle vie, vicino alla finestra che si affaccia sulla strada, al fine di rendere pubblico il miracolo che avvenne a quel tempo. Negli ultimi anni nelle grandi piazze di alcune città italiane, si issa un’enorme Chanukkià i cui lumi vengono accesi in presenza di numerosi intervenuti.

(https://ucei.it/festivita-ebraiche/chanukkah/).

Poi, in epoca cristiana la festa della Candelora si diffuse a partire dall’oriente, dove si dava particolare risalto all’incontro tra Gesù bambino e Simeone e poi, intorno al VII secolo, fu accolta anche in occidente, dove però prevalse la commemorazione della Purificazione di Maria. (In precedenza la festa era anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo l’usanza ebraica, al momento della presentazione del figlio primogenito al Tempio, avveniva anche la purificazione della madre).

 https://it.cathopedia.org/wiki/Presentazione_del_Signore

Nel secolo scorso, con il Concilio Vaticano II le due componenti sono state ristabilite a pari dignità.

Il successo storico di questa festa liturgica in Italia è riprovato dalla diffusione in tutte le regioni di un famoso detto correlato alla sapienza agreste del calendario stagionale: “Col giorno della Candelora dall’inverno siamo fora; ma se piove o c’è vento, siamo ancora dentro l’inverno”.

 

Share this Post